«Viaggio di nozze sotto le torri»
I ricordi dell'11 Settembre 2001

La prima volta a New York, in viaggio di nozze, arrivi a Manhattan al tramonto e le torri svettano bellissime. Sai che ci salirai, ti sei procurato già il biglietto.

E tu come ricordi quel terribile giorno? Scrivicelo a [email protected]

La prima volta a New York, in viaggio di nozze, arrivi a Manhattan al tramonto e le torri svettano bellissime. Sai che ci salirai, ti sei procurato già il biglietto. «Era il 10 settembre 2001 – raccontano Marco Antonucci, architetto di Lovere, e la moglie Caterina Oscar –: le torri ci apparvero nel tragitto dall'aeroporto verso l'albergo, a Broadway. La mattina dopo, intorno alle nove, ci incamminammo a piedi verso il World Trade Center, volevamo aprire la giornata guardando la città dall'alto. Dall'albergo avevamo visto fumo dietro le torri, ma non si capiva cos'era. Capimmo quando arrivammo agli schermi della Cnn, che mostravano l'impatto degli aerei. Riuscimmo ad arrivare fino alla 12ª Strada».

«Lì il fumo toglieva la vista – continua il racconto –, una sorta di nebbia nera dalla quale sbucavano persone sporche, che camminavano in fretta, ma non correvano, semplicemente si allontanavano da Manhattan. C'era una macchina distrutta, in pochi minuti arrivò la polizia e bloccò tutto. Si parlava di attentato, noi ci preoccupammo di avvisare le famiglie in Italia, non avevamo i cellulari, cercammo un telefono, ma era tutto bloccato. Per forza, molte centrali telefoniche erano proprio dentro le torri. La gente aumentava, ma sempre calma, non c'era panico, solo tantissime persone arrivavano a piedi da sud e sciamavano via. Tornammo in albergo, passammo la giornata a guardare la tv e fuori dalla finestra. Era arrivato l'esercito, si sentivano le sirene».

«Ci fece male – proseguono i coniugi di Lovere – soprattutto vedere la gente per strada, tanti ragazzi, con le foto dei genitori, dei parenti ingrandite su fotocopie, in giro a cercarli. Per tutta la notte passarono camion scortati dalla polizia che trasportavano in celle frigorifere forse i resti delle persone uccise. Altri mezzi portavano via enormi pezzi delle torri. Non pensammo di rientrare. Ormai il peggio era successo, quando gli aerei ripartirono pensammo che altri potevano averne più bisogno. Nessuno ci contattò, né l'ambasciata né l'agenzia di viaggi. Il giorno dopo riuscimmo a chiamare casa e rassicurare tutti. I negozi erano aperti, ma per strada non c'era nessuno. Lunedì riaprì la Borsa, qualcuno tornò. Ci mettemmo in fila per donare il sangue, partecipammo a una cerimonia di suffragio. Leggevamo i giornali italiani e il New York Times. Erano due mondi. In Europa si piangeva e si portava il lutto, a New York comparve subito la scritta "Le aquile tornano a volare", la gente reagì andando ad arruolarsi, pensando che gliel'avrebbe fatta pagare, chiunque fossero».

«In quello che sarebbe stato chiamato Ground Zero si aprì subito un enorme cantiere, file di caterpillar entravano e file ne uscivano, c'era la stazione per sostituire le gomme dei mezzi pesanti che friggevano sulle macerie incandescenti. Tutto il personale era fatto da professionisti o da militari, non vedemmo volontari civili. La solidarietà era aprire la porta di casa, nei ristoranti dar da mangiare gratis a pompieri e poliziotti. Ci colpì questa capacità di reagire, di non piangersi addosso. La volontà di sistemare prima le cose e solo dopo almanaccare sui colpevoli della strage. Tutte le case esponevano la bandiera, Manhattan si riempì di graffiti colorati: "Wtc live". Girammo molto a piedi, giorno dopo giorno New York riprendeva a funzionare. Autobus, traghetti, metro. Riuscimmo anche a fare i turisti nei musei, ma l'Empire State Building rimase chiuso. La cappa della tensione pesava addosso. Non era paura, viaggiando spesso e dappertutto abbiamo vissuto situazioni più pericolose. Tornando in aeroporto ci hanno indicato in un'area del parcheggio le auto di quelli che erano saliti sugli aerei dirottati contro le torri».

«Un senso di vuoto – conclude Marco Antonucci –. Non ce la siamo più sentita di tornare a New York. Fino allo scorso agosto, dieci anni dopo e per merito di Caterina. Abbiamo trovato una città uguale a se stessa nello spirito, ma con tanti cambiamenti: un nuovo tunnel, quartieri come Harleem e Brooklyn in pieno sviluppo e recupero, i prezzi delle case a Manhattan semplicemente impossibili. E invece tante, troppe belle case in vendita in zone fascinose come gli Hamptons, case che vendi solo se ci sei costretto. Tantissime auto di nuovo modello, più piccole delle Cadillac dai colori impossibili che ricordavamo. Abbiamo trovato tantissimi turisti italiani e francesi, attirati dal cambio basso del dollaro. Ma anche negozi chiusi, un'aria di recessione. E, sì, siamo passati a Ground Zero. E saliti sull'Empire State Building».

Susanna Pesenti

© RIPRODUZIONE RISERVATA