Nuovo Ospedale, Veneziani:
scelte le persone sbagliate

Per il nuovo ospedale «il problema sta nelle dimensioni della struttura e nel fatto che non si sono scelte le persone giuste. E questo fin dall'inizio». È quanto sostiene Cesare Veneziani, ex sindaco di Bergamo. La storia del nuovo ospedale la conosce da dentro.

Per il nuovo ospedale «il problema sta nelle dimensioni della struttura e nel fatto che non si sono scelte le persone giuste. E questo fin dall'inizio». È quanto sostiene Cesare Veneziani, sindaco di Bergamo dal 1999 al 2004. La storia del nuovo ospedale la conosce da dentro.

Ecco il testo dell'intervista pubblicata da L'Eco di Bergamo il 14 novembre


«Posso dire che sono inc...ato?».

Sindaco Veneziani, ci mancherebbe. Ma ci spieghi perché. Cesare Veneziani, primo cittadino dal 1999 al 2004 a capo di una coalizione di centrodestra (senza Lega), è uno che la storia del nuovo ospedale la conosce da dentro.

«E proprio per questo faccio io una domanda: noi bergamaschi non stiamo rischiando il ridicolo?».

Le concedo anche onore e onere della risposta.
«E allora partiamo dal vecchio ospedale e dalle sue eccellenze medico sanitarie che tutti ci invidiano: come facciamo a non vergognarci del fatto che quello nuovo non sia ancora pronto?».

Lei che idea si è fatto in materia?
«Mi permetta di partire con una premessa. Italia: 7ª potenza industriale del mondo, giusto?».

Dovrebbe. O suo malgrado, di questi tempi.
«Ecco. Lombardia: locomotiva d'Italia, tra i motori d'Europa e ci metta tutto quello che di solito dice il presidente Roberto Formigoni. Bergamo: una delle province più industrializzate del Paese. Questo è il quadro di partenza. Nel 1999-2000 parte la progettazione per un nuovo ospedale che, dopo 12 anni, non è ancora pronto. Allora, io qui sono diviso: da una parte è una tragedia, ma dall'altra c'è da piegarsi in due dal ridere».

Beh, magari non siamo quell'eccellenza che pensiamo di essere...
«Col cavolo. L'eccellenza c'è se la si vuole tirare fuori».

E chi l'ha nascosta?
«Non lo so. In compenso so che per fare un'opera servono volontà politica e buoni tecnici. Da scegliere non in base all'appartenenza a questa o quella corrente, ma per le ca-pa-ci-tà».

E non sarebbe stato il caso del nuovo ospedale?
«In questo caso è stato sbagliato proprio tutto».

Salute...
«Mi spiego. Io ho firmato il progetto davanti a Formigoni e all'allora ministro della Sanità Rosy Bindi. Essendo stato eletto da poco, e per giunta digiuno di ospedali e sistemi sanitari, ho cercato di documentarmi. Fortuna vuole che un mio ex collega, l'ingegner Rosario Bifulco – uscito dalla Fiat un anno prima di me – era stato assunto dalla famiglia Rocca per realizzare un ospedale a Rozzano, nel Milanese. Vado a trovarlo, mi tiene lì una mattina, e mi spiega come da un prato verde ha tirato su l'Humanitas in quattro anni: 700 posti letto».

E che le dice?
«Per esempio che, confrontandosi con l'Europa, le strutture ospedaliere con costi e gestioni ottimali non dovrebbero superare i 6-700 posti. Il nostro ne aveva 1.500, poi scesi a 1000-1.200 grazie anche alle mie pressioni. Io faccio tesoro di questa chiacchierata, ne parlo a Formigoni e lo dico anche alla Bindi. A momenti mi accusano di voler favorire la sanità privata a discapito di quella pubblica. Il vizio di partenza sta qui».

Insomma... Strada facendo ne sono usciti altri.
«Guardi, che quel terreno raccogliesse l'acqua dei Colli lo si sapeva da sempre. Il progetto doveva semplicemente tenerne conto: io non so se l'abbia fatto, ma so che l'ospedale non è ancora aperto. E a me tanto basta. Poi possiamo trovare ogni scusa possibile, il ricorso al Tar, il Tir, Thor, questo o quello. Ma il problema sta nelle dimensioni della struttura e nel fatto che non si sono scelte le persone giuste. E questo fin dall'inizio».

In pratica lei ce l'ha con il ministero e la Regione?
«Chi aveva i maggiori poteri in materia? Mica io».

Scusi, ma perché queste cose non le ha dette prima?
«E quando? Io nel 2004 ho perso le elezioni, mica controllavo i lavori».

D'accordo, ma dal 1999 al 2004 a Palafrizzoni c'era lei.
«Nelle riunioni ho sempre sollevato questi problemi, ma mi guardavano come fossi un marziano. Non avevo poteri, mi chiamavano in quanto sindaco».

Non è proprio un ruolo di secondo piano, concorderà con me...
«Nei 5 anni del mio mandato, dove ho potuto incidere l'ho fatto con scelte. Le faccio un esempio: come assessore ai Lavori pubblici mi sono scelto Marcello Puppi»

Suo caro amico, ricordo.
«Amico sì, ma anche leghista. E tenuto conto che allora stavano all'opposizione, me ne sono sentite di ogni per cinque anni. Ma io l'ho scelto soprattutto per le sue competenze e la voglia di fare. Era uno che ogni mattina si metteva il suo caschetto giallo e andava per cantieri. I risultati sono arrivati: la scuola della Malpensata, il Palatenda, le case di via Gasparini, il rondò delle Valli, l'avvio dei lavori del nuovo Tribunale. E non creda, anche noi abbiamo avuto le beghe, i ricorsi al Tar, la burocrazia».

Come nel nuovo ospedale?
«Ascolti, i problemi ci sono ovunque. La differenza la fa la voglia di superarli. E qui entra in ballo la politica, che in questa storia non è stata capace di scegliere le persone giuste».

E quindi ora che si fa?
«Si cerca di aprire l'ospedale nel più breve tempo possibile. Ma se fossi uno dei bravissimi medici dei Riuniti mi sentirei umiliato davanti a questi ritardi. Abbiamo una sanità d'assoluta eccellenza e ci impieghiamo 12 anni per costruire un ospedale nuovo? Ma per favore. Vede, io vado spesso in Calabria...».

A Sibari, sappiamo bene...
«Pensi, vorrebbero farci un aeroporto».

Un altro?
«E vabbè. Gli ho detto che li porto a Bergamo a vedere il nostro. Però mica dico che ci stiamo impiegando 12 anni a fare un ospedale»

Ne vedono di peggio, di solito, a quelle latitudini. Ad ogni modo, da qui la sua, diciamo, arrabbiatura?
«Doppia. Come ex sindaco e come cittadino».

Dino Nikpalj

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