Yara, quel 26 novembre maledetto
Il ricordo a un anno dal rapimento

Il sole tramonta alle 17,15 su Brembate Sopra. È l'ora in cui, un anno fa, Yara mise il giubbotto e uscì di casa salutando la mamma Maura per l'ultima volta. La famiglia Gambirasio questo 26 novembre 2011 ha preferito trascorrerlo altrove.

Il sole tramonta alle 17,15 su Brembate Sopra. È l'ora in cui, un anno fa, Yara mise il giubbotto e uscì di casa salutando la mamma Maura per l'ultima volta. La famiglia Gambirasio questo 26 novembre 2011 ha preferito trascorrerlo altrove.

Troppi ricordi, e troppo dolorosi. La villetta di mattoncini rossi di via Rampinelli 48 ha le persiane chiuse ed è avvolta nel silenzio. Solo una lanterna illumina il cortile: forse papà Fulvio l'ha voluta lasciare accesa per Yara, per farle sentire quanto le manca. I vicini attendono l'ora di cena al caldo dei salotti. Qualcuno ha già addobbato l'abete in giardino, in vista del Natale.

Per strada non c'è nessuno. Proprio come un anno fa, quando Yara chiuse alle sue spalle il cancelletto di casa. Aveva con sé uno stereo portatile da consegnare alle amiche della ginnastica ritmica, che l'attendevano al palazzetto dello sport.

Quanto volte l'abbiamo raccontata, questa storia, dal 26 novembre 2010 al 26 febbraio di quest'anno, quando un aeroplanino impazzito ha fatto ritrovare Yara per caso, in un campo di sterpi a Chignolo d'Isola. Raccontavamo una scomparsa e i suoi interrogativi. Oggi, purtroppo, facciamo la cronaca delle ultime ore di vita di una ragazza di 13 anni.

Yara esce alle 17,15 e si incammina in via Rampinelli, percorrendo quei settecento metri che la separano dal centro sportivo. Ieri, come un anno fa, è freddo e cala il buio. È una zona residenziale e in giro non c'è nessuno. Ogni tanto i fari di un'auto proiettano i loro coni di luce sull'asfalto: è tutto quel che succede di sera in via Rampinelli a Brembate Sopra.

Proprio come un anno fa c'è la signora Marina che porta a spasso i cani. La donna testimoniò ai carabinieri di aver notato due uomini sospetti, quel maledetto venerdì sera in cui Yara sparì, ma le sue indicazioni purtroppo non servirono a mettere gli investigatori sulla pista giusta.

Via Rampinelli finisce all'incrocio con via Morlotti. A sinistra vai al centro sportivo, a destra verso il cantiere di Mapello, quello a cui portò il fiuto dei cani molecolari, oggi diventato uno scintillante centro commerciale in cui, di questi tempi, è aperta la caccia frenetica al regalo di Santa Lucia.

Yara svolta a sinistra, verso la palestra. Cammina svelta sul marciapiede della via deserta. Ha il giubbotto nero, i leggings scuri, quelli su cui l'assassino lascerà la sua vile traccia genetica, le All Star col pelo che van di moda alle medie, i guanti con i brillantini comprati da poco. Anche ieri, come un anno fa, per gli abitanti dei caseggiati circostanti è ora di abbassare le tapparelle e sprofondare nella quiete domestica.

Se solo qualcuno avesse visto, se qualcuno avesse sentito: l'inchiesta sulla morte di Yara avrebbe avuto miglior fortuna. Invece nessuno osservava, nessuno sentiva, quel venerdì 26 novembre di un anno fa. Per strada c'era solo Yara, che portava il suo registratore in palestra.

Sono le 17,30 quando la giovane ginnasta raggiunge le amiche al palazzetto. S'intrattiene per un'ora a seguire l'allenamento. Anche ieri, come allora, fuori dalla palestra un gruppetto di genitori chiacchiera in attesa della fine degli allenamenti dei figli.

Il custode Walter si preoccupa di tener puliti i vialetti e ammonire i giornalisti: «Con la macchina fotografica non potete entrare, lo sapete», avverte pacato, ma irremovibile. Al bar sopra alla piscina le mamme di Brembate bevono cioccolata e, dal finestrone panoramico, sorvegliano i bambini che in vasca si cimentano con le bracciate a stile libero.

Si fanno le 18,38, l'ora in cui un anno fa un papà di Calusco incrociò Yara uscire dalla palestra e incamminarsi verso casa. «L'ho salutata, era serena», ricorda. Il resto lo conosce solo l'assassino. Sappiamo solo che alle 18,44 Yara risponde all'sms in cui la sua amica Martina le chiede a che ora è l'appuntamento per la gara di ginnastica della domenica.

«Dobbiamo essere lì per le 8». Martina risponde «Ok» alle 18,49, quando Yara forse è già nelle mani dell'orco. Alle 18,55 il suo cellulare - mai più ritrovato - si spegne per sempre lungo la strada di casa, agganciato all'antenna di via Sorte a Brembate Sopra, la più vicina a via Rampinelli.

Un buco spaziotemporale di 11 minuti (dall'ultimo messaggio allo spegnimento del cellulare) risucchia Yara senza un perché. Nessuno vede, nessuno sente e nessuno sa. La morte della giovane ginnasta è collocata dal medico legale a non più di tre ore da questo momento. Passano tre mesi, però, prima che Ilario Scotti, aeromodellista di Bonate Sotto, trovi per caso il corpo di Yara in mezzo ai rovi del campo di Chignolo.

Un anno dopo, le sterpaglie che la polizia scientifica aveva tagliato per analizzare la scena del crimine sono ricresciute, come se la natura si vergognasse di ciò che ha visto e volesse nascondere. Il ricordo di Yara, però, è vivo più che mai. Basta guardare quei fiori, quei lumi lasciati dai tanti bergamaschi che le vogliono bene. Anche senza averla mai conosciuta.

Vittorio Attanà

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