Da due mesi dorme in treno:
ora gli hanno offerto un lavoro

È in piedi sul binario. Ha il felpone dell'Atalanta e le mani in tasca da spavaldo, ma poi gli esce una voce cucciola: «Guarda che io sono diplomato 80/100 a Ragioneria, non sono mica un tossico. Mi spacco come un crucco se mi dai un posto. Io la voglia di lavorare ce l'ho, vado a spalare anche la c...».

Raoul dice di avere 28 anni, anche se sembra un adolescente. È bergamasco, da due mesi dorme sui treni, in stazione. Racconta a spizzichi la sua storia, a cui diamo fede: guai con la famiglia della fidanzata che è in comunità, tre mesi non pagati da muratore a spaccarsi la schiena e si ritrova in strada. «Ho una figlia di tre anni che è la più bella del mondo – dice – datemi un lavoro e tornerò a casa, senza vergogna».

Giuseppe Biesuz, amministratore delegato di Trenord e l'assessore regionale Raffaele Cattaneo ascoltano, intercettano la richiesta d'aiuto nella notte e l'accolgono: «Sei puntuale e affidabile? Se ti diamo un lavoro ti presenti tutte le mattine?». Il ragazzo assicura: «Mai avuto un richiamo». E perché non sia uno spot natalizio, scatta lo scambio dei numeri di cellulari, suggellato da una stretta di mano.

Ci si vedrà per un colloquio. Raoul, per la verità, il telefonino non ce l'ha: «Ti dò quello della mia fidanzata, tanto la sento dieci volte al giorno. Ma davvero davvero mi chiami?». Raoul stasera forse ha avuto l'occasione per riprendere in mano la sua vita. La direzione cambierà, se tutti i protagonisti della storia manterranno le intenzioni.

Ma tanti altri sono in fila. Anche Igor, 40 anni, originario di Como, da due mesi «la sala-macchine come camera, perché è più spaziosa, e lo zaino per cuscino», aspetta. È un «marcantonio», ma ammette di dormire sempre «con un occhio aperto, perché ultimamente la situazione sui treni sta degenerando. Ho già subito due tentativi di aggressione. Pensare che nel portafoglio ho solo i documenti, di soldi non ne ho da tempo. Per difendermi ho tenuto con me un cacciavite lungo così».

Anche la sua parabola inizia con il licenziamento («Ero sulle ambulanze per una società privata che poi ha perso gli appalti ed è fallita»); gli amici che danno una mano i primi tempi e poi spariscono. «Io andrei in dormitorio – racconta – ma non essendo residente a Bergamo ho dei diritti limitati». Il morale, per ora, però, non è scalfito: «Dico che è un passaggio, che si risolve. C'è di peggio e ho visto di peggio. Io sulla mia situazione riesco anche a scherzarci su: parlo sempre del mio "albergo 4 stelle", perché almeno un tetto sopra la testa, dalle 23,30 alle 6, quando riparte la corsa, ce l'ho. I macchinisti mi augurano anche la buonanotte e il buongiorno, meglio di così».

Chi, invece, per scelta non bussa alla porta delle strutture d'accoglienza (perché sono femminili o maschili) è Rashid, marocchino di 32 anni, l'aria spaesata di chi da quattro anni «abita fuori», come dice lui. «Nei dormitori – spiega – non posso dormire con la mia fidanzata, meglio qui, dormire per terra sui treni, ma insieme».

Il freddo si vince con l'alcol: un litro di vino nei cartoni costa 80 centesimi, che si riescono sempre a racimolare. «Bevo perché mi scalda», dice Rashid con l'occhio annebbiato. Ma poi diventa vizio, dipendenza. Come con la droga. Chi dice che non ci si buca più faccia un giro da queste parti. Le siringhe abbandonate dalle ombre che spariscono nel buio non si contano. Da una certa ora in poi tante persone sono alterate, scattano i coltelli facili. Chi cerca di non avere problemi si avvoltola nella coperta o nel sacco a pelo (se è fortunato). Sperando di riuscire a riaprire gli occhi il giorno dopo. E avere la forza di continuare il viaggio.

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