L'attesa del Natale
negli occhi dei bambini

di Mons. Francesco Beschi
Vescovo di Bergamo


Domenica scorsa, in una parrocchia della nostra bella Diocesi, ho celebrato la Messa, benedicendo lavori che hanno reso ancor più accogliente la chiesa nuova.

di Mons. Francesco Beschi
Vescovo di Bergamo

Domenica scorsa, in una parrocchia della nostra bella Diocesi, ho celebrato la Messa, benedicendo lavori che hanno reso ancor più accogliente la chiesa nuova. Hanno partecipato moltissime persone, di ogni età: mi ha impressionato la presenza di numerose giovani famiglie e di tanti bambini. Questi circondavano l'altare con confidenza, con rispetto educato, ma senza paura o vergogna.

I loro sguardi mi hanno accompagnato anche quando le parole potevano essere difficili. Sul finire della Messa ho detto che li averi presi tutti con me, per averli davanti ancora con i loro occhi luminosi e in attesa. Sì, in attesa. Uno dei modi più belli per rappresentarla sono gli occhi dei bimbi che volgono a noi, i loro padri, le loro madri, i loro nonni e attendono una risposta necessaria. Attendono amore, come ogni persona umana, ma ancor prima, quasi premessa indispensabile, attendono certezza: la certezza di potersi fidare. Fidare di noi, delle nostre parole, delle nostre promesse, della nostra vicinanza, della nostra fedeltà. La certezza che non li stiamo imbrogliando e anche quando raccontiamo le favole, diciamo la verità. La verità della vita, della sua dignità, della sua bellezza e della sua serietà. Della vita, quando splende come il sole e quando è oscurata al punto da perdersi.

La consapevolezza che avvertiamo è l'impossibilità di imbrogliarli: non per incapacità nostra, ma per limpidezza loro. E' una consapevolezza che diventa esigenza morale: la piccola bugia raccontata per rassicurarli, non potrà trasformarsi in una “bolla”, come tante di questi giorni, destinata a scoppiare, a lasciarci più poveri non solo di soldi, ma di speranza e in ultima analisi di vita. Quanta resistenza è richiesta a ciascuno, in questo momento: resistenza alle tentazioni dello scoramento, del cinismo, del ripiegamento, della furbizia incurante di regole e rispetto, dell'illegalità, del disprezzo e dello sfruttamento, del pensiero di venirne fuori da soli.

Dove abbiamo trovato la forza, dove la troveremo ancora? In noi stessi, nel senso di responsabilità e nella pratica quotidiana di valori che non possono essere solo proclamati e richiesti agli altri, sempre pronti ad addurre giustificazioni per noi; in noi stessi, capaci di scelte impegnative e misurati da limiti e fragilità che a volte sembrano insopportabili. Ci sembra, con semplicità di cuore, di doverci ricordare che nessuno basta a se stesso: altri hanno fatto con noi la nostra vita, le nostre convinzioni, le nostre riuscite e anche i nostri fallimenti.

Troviamo forza, dunque, in una solidarietà non ad uso e consumo del nostro particolare interesse o bisogno, ma di un bene e di una giustizia condivisi. In questa storia, in cui i volti degli altri non possono essere solo volti di estranei, uno sguardo si posa su di noi, incrocia i nostri occhi. È lo sguardo di un Bambino, il cui nome non possiamo dimenticare e dobbiamo insegnare: Gesù. E' lo sguardo luminoso che ricordavo all'inizio, è lo sguardo che ci interpella sulla nostra umanità, sulla nostra verità di esseri umani, sulle nostre debolezze e sulle nostre possibilità. E' lo sguardo di un Bambino e lo si può ignorare senza sforzo, ma non lo si può imbrogliare.

Non può imbrogliarlo chi si dice credente, addirittura cristiano: quello sguardo che a Natale risplende di nuova luce non condanna, ma invita alla verità di sé stessi e del Vangelo; non può imbrogliarlo neppure chi ha rinunciato a credere o ha scelto di non credere: qui non si tratta di un'idea di Dio, ma del volto di un uomo che rivela quello di Dio. Potremo forse sottrarci ad ogni sguardo umano? Abbiamo consumato il bene della fiducia, perché non impastiamo più il pane della fedeltà. Invochiamo giustamente motivi di credibilità, segni di credibilità: dalle Istituzioni dello Stato, dal mondo del lavoro imprenditoriale e sindacale, dal mondo dell'economia e della finanza, dal mondo dell'informazione e della politica, dal mondo della scienza e della tecnica, dalla Chiesa stessa e particolarmente dai suoi ministri.

Non è la diversità di idee e di scelte che indebolisce la speranza, ma la rinuncia alle quotidiana fedeltà alla coscienza limpida e alla nostra vita, che in realtà non è soltanto nostra. Il Natale è la manifestazione della fedeltà di Dio agli uomini nella loro storia, una fedeltà che comincia dal basso, dal profondo, dal più piccolo, dal più debole: una fedeltà, quella di Dio, che risveglia fedeltà umane come quella umile di Maria e di Giuseppe.

La giornata iniziata in Parrocchia si è conclusa nei reparti degli Ospedali Riuniti dove ogni giorno è Natale, tra bimbi appena nati, mamme e papà trepidanti, medici e infermieri come angeli, frati e volontari premurosi: bimbi sani e bimbi malati, alcuni poco più grandi di una mano e altri grandi ormai, non più da culla. Tutti in attesa, in attesa di vivere, in attesa di futuro: in attesa di una certezza. La certezza di non essere abbandonati e finalmente amati. Dio che diventa uomo ci introduce in questa decisiva certezza.

Monsignor Francesco Beschi
Vescovo di Bergamo

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