Schilpario e Rovetta uniti nel dolore:
addio Elena, niente sarà più come prima

Il feretro, in spalla, l'hanno voluto portar loro, i volontari della Croce Blu di Gromo, che non si sono staccati un attimo dalla «loro» Elena, accompagnandola fino al presbiterio dell'antica  prepositurale di Schilpario, dedicata a Sant'Antonio di Padova.

Il feretro, in spalla, l'hanno voluto portar loro, i volontari della Croce Blu di Gromo, che non si sono staccati un attimo dalla «loro» Elena, accompagnandola fino al presbiterio dell'antica  prepositurale di Schilpario, dedicata a Sant'Antonio di Padova.

Ad attendere la salma di Elena Bonaldi c'erano anche i gonfaloni delle diverse associazioni di volontariato, che l'hanno voluta salutare così, per l'ultima volta.

Nessuno, forse, aveva fatto in tempo a dirle quanto l'apprezzassero: venerdì notte l'auto sulla quale viaggiava come passeggera si è scontrata contro un'altra vettura, riducendo la donna in fin di vita. La morte è sopraggiunta domenica pomeriggio, gettando nel dolore parenti e amici, moltissimi amici, gli stessi che fino a poco prima del rito funebre hanno «presidiato» la camera ardente allestita a Rovetta, dove la 35enne si era trasferita circa un mese fa con il marito Marco.

In moltissimi, mercoledì pomeriggio, hanno voluto partecipare al funerale, durante il quale il parroco di Schilpario don Stefano Ravasio non ha mancato di sottolineare l'altruismo della giovane: «Per tutta la vita – ha detto durante l'omelia – la carità si è manifestata in lei, che fino all'ultimo ha voluto fare della propria esistenza un'occasione di vita per gli altri».

La mente corre alla scelta con cui la famiglia ha deciso di donare gli organi di Elena, contribuendo a salvare la vita di altre persone, tra cui due bambini. «È stato il suo ultimo gesto di solidarietà – si legge nel messaggio che la Croce Blu ha portato al termine della Messa -, conferma del suo animo buono e sensibile… niente però sarà più come prima, una parte di noi se ne è andata con lei».

È lo stesso sgomento che ha colto i colleghi della casa di riposo «Cardinal Gusmini» di Vertova (dove la donna lavorava): anche loro «impreparati di fronte a quanto successo», ma grati per quello che definiscono «il suo più grande insegnamento: il rispetto per la vita».

Ni. To.

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