Nel cielo di Pasqua
la speranza irriducibile

di FRANCESCO BESCHI
vescovo di Bergamo
Come sarà stato il cielo di quel mattino del giorno dopo Pasqua, così come l'avevano celebrata i contemporanei di Gesù? Sappiamo dell'oscurità che aveva avvolto cose e uomini nell'ora della sua morte: di quel mattino nulla.

Come sarà stato il cielo di quel mattino del giorno dopo Pasqua, così come l'avevano celebrata i contemporanei di Gesù? Sappiamo dell'oscurità che aveva avvolto cose e uomini nell'ora della sua morte: di quel mattino nulla. Sappiamo che la vita riprendeva, così come succede ogni giorno, abitata dalla moltitudine di esistenze, di gesti, di sentimenti: sempre uguali e diversi insieme.

Ma una notizia comincia a rimbalzare di bocca in bocca, di cuore in cuore: colui che è stato tradito, consegnato, processato, flagellato, crocifisso, colui che è morto ed è stato sepolto, ora vive. Non è un ricordo, non è un fantasma: al sepolcro sigillato il suo corpo non c'è più e donne e uomini lo hanno visto, lo hanno incontrato; hanno ascoltato ancora la sua voce, mangiato con Lui, veduto le sue piaghe ormai senza dolore. Lui è vivo: è diventato una sorgente di vita.

È tanto inverosimile la notizia da rimanere sopita, nascosta, ma per poco: comincerà a correre, dopo qualche giorno, lungo le strade di allora, le strade della Palestina romana, le strade dell'impero, le strade del mondo. Corrono le donne e gli uomini della Risurrezione: la gioia non si trattiene più, l'attesa deve essere colmata.

Un prete, ormai vecchio e ancora arguto, ricorda d'aver confermato tutto questo in un incontro con fedeli partecipi. Al termine, una signora gentile gli si avvicina e chiede un chiarimento: «Lei sta dunque dicendo che Gesù è vivo, adesso e qui? Se è così lo dirò subito a mio marito». Tornerà la settimana dopo e ancora fervorosa informerà il prete: «Avrai capito male», aveva detto lo sposo, pur non lontano dalla Chiesa. Aveva anche aggiunto: «Ma se fosse così, allora è cambiato tutto, nulla è più come prima».

L'augurio di Buona Pasqua che amichevolmente tutti si scambiano ha a che fare con tutto questo: per alcuni può essere solo uno sfondo che si allontana nel tempo, per altri qualcosa di sconosciuto, per altri ancora una favola o una pericolosa illusione. Ma vi sono donne e uomini di ogni tempo e di ogni luogo che attingono la verità di questo augurio proprio all'annuncio cha ancora risuona: «È risorto». Sono due parole che spezzano ogni inesorabilità: l'inesorabilità del sistema, del destino, del male, della morte. La risurrezione è il frutto maturo dell'amore di Dio, passato al setaccio del dolore. Dio introduce nell'inesorabilità della storia, un «principio attivo» che la trasforma.

Abbiamo imparato a riconoscere e rispettare i criteri e le regole propri di ogni disciplina, di ogni conoscenza, di ogni ambito della vita: i criteri della scienza, della ricerca, della tecnica, della medicina, dell'economia, della finanza, della politica. Ma dobbiamo riconoscere che non ci bastano: anzi, a volte si rivelano come degli idoli a cui sacrificare ancora una volta uomini, o dogmi davanti alla cui inflessibilità quelli religiosi fanno sorridere.

Un sano realismo, come si suol dire, ci induce ad accettare il male come insopprimibile dimensione della realtà, come inevitabili «danno collaterale», al massimo da contenere: è sempre stato così. Dobbiamo circoscriverlo, controllarlo e quando non ci riusciamo non ci resta che il gusto di esibirlo in forma di suprema e tragica superiorità o di esporlo ad una gogna mai sazia e tanto ipocrita da trasformare in vittime coloro che il giorno prima erano i carnefici.

E in un mondo in cui tutto sembra misurabile e dunque calcolabile, l'unica variabile sembra affidata al cieco destino, al fato antico, alla fortuna e alla sfortuna davanti alla quale chinare il capo rassegnati e dipendenti. Ma più inesorabile di tutto rimane la morte che trasformiamo semplicemente in un limite da accettare, svuotando la pregnanza inesauribile e la profondità delle relazioni umane e di ogni progettualità che non consista semplicemente in cose da fare. La morte che vorremmo sempre più nelle nostre mani, per affermare il nostro potere sulla vita.

Se a Natale il cielo notturno e invernale è illuminato da una stella e squarciato dal canto degli angeli che dicono di un Dio diventato uomo, il cielo primaverile della mattina di Pasqua riecheggia del canto trepidante e gioioso dell'Alleluia: l'amore che si è manifestato nella Croce di Cristo, non solo ci rivela quello di Dio, ma manifesta la sua forza trasformante svuotando ogni inesorabilità del suo potere e consegnandoci in Cristo risorto una speranza irriducibile. Da qui una testimonianza e una responsabilità che i testimoni del Crocifisso risorto possono offrire ad ogni persona umana.

† Francesco Beschi
Vescovo di Bergamo

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