Prigioniera in casa dopo i lavori
Risarcimento da 800 mila euro

di Susanna Pesenti
Ha vinto la causa Rita Urso, la docente in carrozzella prigioniera in casa sua dopo una ristrutturazione, commissionata proprio per eliminare le barriere architettoniche e permetterle la maggior autonomia possibile.

di Suanna Pesenti

Ha vinto la causa Rita Urso, la docente in carrozzella prigioniera in casa sua dopo una ristrutturazione, commissionata proprio per eliminare le barriere architettoniche e permetterle la maggior autonomia possibile. Architetto e impresa sono stati condannati dal giudice a restituire tutte le somme percepite e a pagare i danni.

Inoltre il tribunale ha dichiarato risolti per inadempimento sia il contratto di prestazione d'opera dell'architetto sia il contratto d'appalto dei lavori verso l'impresa. Una vittoria importante, non solo per l'importo complessivo del risarcimento che supera gli 800 mila euro, ma, sotto il profilo giuridico, per la dichiarazione di risoluzione per inadempimento, che il Codice civile prevede solo in casi molto gravi e i tribunali usano con estrema parsimonia.

«Sono contenta – dichiara la professoressa – perché questa sentenza è una vittoria morale che dedico a tutti i cittadini disabili, perché è stato riconosciuto che la mia casa è stata resa inabitabile per una persona nelle mie condizioni e perché per avere giustizia, con mio fratello abbiamo lottato per anni». Tutto comincia nel 2003 quando Rita Urso, docente al liceo Amaldi di Alzano, si rivolge a un architetto che conosce da tempo perché elimini tutte le barriere architettoniche della casa di famiglia. Chiede di installare un ascensore esterno alla villetta per salire dal garage ai diversi livelli della casa e di eliminare i gradini per poter scendere in giardino, uscire sul terrazzo, accedere al vialetto d'uscita. Dentro casa chiede porte larghe, finestre facili da aprire, nessun gradino o ostacolo, stanze e corridoi nei quali far girare con agio la carrozzella, servizi igienici adeguati, interruttori e quadri di comando elettrici a portata di mano. Specifica che non vuole finiture di lusso. Il preventivo presentato è accettabile: 250 mila euro. Si ritrova con un conto di 800 mila euro per una casa rovinata, ma ricca di marmi costosi. L'ascensore è interno e il rifacimento del vano scale ha ridotto un bel soggiorno a un budello. Le porte finestre hanno infissi che bloccano le ruote. Le finestre hanno maniglie troppo in alto. Le porte sono strette, l'ascensore ha la porta a molla, il servoscala esterno è impossibile da manovrare. I quadri elettrici sono in uno sgabuzzino stretto, la rampa per scendere in garage ha una pendenza eccessiva.

Siamo a fine 2005, Rita Urso si rivolge all'Ordine degli architetti per segnalare il caso. L'allora presidente ascolta e suggerisce di fare subito un esposto all'Ordine e, in attesa del risultato, di sospendere i pagamenti della parcella e dei fornitori. Per tutto il 2006 dall'Ordine non arrivano segnali, ma la parcella sì, vidimata dalla commissione della quale il professionista faceva parte da gennaio. Parte un altro esposto, e un altro contro il presidente dell'Ordine. E poi anche contro il Consiglio e la commissione parcelle. L'esposto originario viene portato in Consiglio dell'Ordine degli architetti solo nell'ottobre 2007. Nel frattempo Rita Urso si è rivolta anche a tv, giornali e associazioni dei consumatori per far conoscere il suo caso. La battaglia sul fronte deontologico è ancora aperta, dopo che la pugnace professoressa si è rivolta al distretto di Brescia, alla presidenza del consiglio, al nuovo presidente dell'Ordine, alla Corte di giustizia della Comunità europea. Intanto, poiché i pagamenti sono stati sospesi, architetto e impresa fanno causa a loro volta. La battaglia legale si infuoca, fra perizie di Ctu e consulenti tecnici di parte. Più volte l'esito favorevole sembra pendere dalla parte dell'architetto e dell'impresa. Ogni volta Rita Urso invita gli increduli a visitare la sua casa. Non fosse abitata da un disabile, la sistemazione della villetta apparirebbe nella norma. Ma «è» abitata da una persona in carrozzella e con la ristrutturazione le barriere architettoniche sono aumentate invece di scomparire. Per raddrizzare la situazione occorrono più o meno gli stessi soldi spesi per fare il danno. «Sono stati anni duri – ammette oggi la docente disabile – tante volte sono stata tentata di lasciar perdere, ma poi prevaleva la convinzione che subire le ingiustizie senza reagire non fa bene a nessuno, né a te né alla società. Siamo cittadini, non sudditi e nemmeno ostaggi di corporazioni e consorterie. Così sono andata avanti. Non ho ancora potuto leggere le motivazioni della sentenza, il mio avvocato ha ricevuto solo il dispositivo. Ma come cittadina mi sento meglio».

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