Chiuduno, giù il muro abusivo
Sono serviti «solo» 48 anni

Un muro di confine contestato, una rampa di scale ritenuta abusiva, e tante carte bollate: sono questi i semplici ingredienti di una storia durata però quasi mezzo secolo prima di vedere la luce della soluzione. Quarantotto anni di sofferenze.

Un muro di confine contestato, una rampa di scale ritenuta abusiva, e tante carte bollate: sono questi i semplici ingredienti di una storia durata però quasi mezzo secolo prima di vedere la luce della soluzione.

Quarantotto anni di sofferenze in realtà, che hanno visto sfilare diversi avvocati, svariati giudici, e tanti amministratori pubblici, in cui le uniche costanti sono rimaste il muro in questione e il protagonista di questa storia, Benito Scaburri, ex imprenditore di Chiuduno, da diversi anni residente a Capriolo, nel Bresciano: classe 1934, carattere d'acciaio, ha superato liti tra vicini, ordinanze sindacali, sentenze della Pretura e del Tribunale, e ora, a 48 anni di distanza dal primissimo episodio, ha avuto ragione.

La Corte d'appello di Brescia, infatti, ha respinto il ricorso contro la sentenza di primo grado (emessa nell'ormai lontano 2002) che già gli dava ragione: il muro edificato a Chiuduno dai suoi vicini dell'epoca (si parla del 1964), accanto alla sua fabbrica di bottoni, è stato costruito in modo illegittimo in base alle norme urbanistiche comunali, e va quindi demolito, insieme al vano scale che poi gli è stato appoggiato contro negli anni successivi, e a cui sono stati aggiunti anche due appartamenti. Da arretrare, per decisione del giudice, anche tutte le opere idrauliche messe a meno di un metro dal confine.
<+tondo>«Il mio rammarico è che tutto questo poteva avvenire già nove anni fa, perché la sentenza era già esecutiva e i giudici avevano respinto l'istanza di sospensiva chiesta dalla controparte – dice Scaburri –. Ma il mio avvocato dell'epoca non me lo ha mai detto, e quindi siamo arrivati a 48 anni di attesa, di cui 25 di processo».
E ora la parola fine – garantisce Scaburri – arriverà con la demolizione del muro, da lui ribattezzato «berlin-chiudunese», facendo riferimento in modo provocatorio alla più famosa (ma alla fine meno duratura) opera tedesca: «Il muro di Berlino è venuto giù nel 1989, dopo 28 anni: e quello di Chiuduno?». La vicenda – dai risvolti quasi grotteschi se non ci fossero di mezzo tante sofferenze – parte negli anni Sessanta con una serie di licenze edilizie, lettere del Comune e ricorsi che, di fatto, hanno come esito finale da un lato la realizzazione da parte dei vicini di Scaburri della sopraelevazione del muro di confine, quindi di un vano scale e infine di due appartamenti, e dall'altro la chiusura del bottonificio dello stesso Scaburri.
<+titolino>1964: l'inizio dello scontro
<+tondo><+togli_rientro>Tutto ha inizio nel 1961, quando i vicini ottengono il via libera ad alzare il muro di comune proprietà: lo fanno nel '64, quando anche l'imprenditore realizza una soletta adiacente allo stesso muro. La lettera che lo autorizza a fare il lavoro edile gli impone però al tempo stesso di tenere attiva la fabbrica solo di giorno (i bottonifici hanno un ciclo sulle 24 ore). «Mi hanno messo con le spalle al muro con i miei concorrenti, e senza un motivo legittimo», racconta lui stesso. È solo il primo colpo: nello stesso anno i vicini contestano davanti al Pretore i lavori edili di Scaburri e, nonostante la testimonianza in suo favore di un maresciallo dei carabinieri e il nulla osta comunale, nel '69 arriva l'ordine di demolizione.
<+tondo>Tra vicende alterne il bottonificio chiude, ma Scaburri comincia la sua lotta personale, convinto di essere vittima di ingiustizie: prima indaga, cerca di andare a fondo, ma si scontra con le autorità comunali, prima Dc e poi Lega. Alla fine, a prezzo di grandi sacrifici e fatiche, scopre quanto basta per ritenere di aver ragione, e fa partire una causa civile nel 1987: quel muro, e tutti gli annessi, sarebbero stati realizzati in barba alle norme edilizie comunali, e quindi vanno eliminati. Per sua sfortuna il ruolo civile del Tribunale di Bergamo in quel periodo è più che intasato, e a complicare la situazione ci si mettono i cambi di giudice, con rinvii di anno in anno, e di avvocato, oltre che la scomparsa delle sue stesse controparti, cui succedono in corso di causa gli eredi: alla fine a emettere la sentenza in suo favore è – il 22 novembre 2002, dopo 15 anni – il giudice onorario Gaspare Picciolo, che dispone la demolizione del vano scale della discordia, con arretramento di 4 metri.
<+titolino>«Lo abbatterò con le mie mani»
<+tondo><+togli_rientro>Nonostante la sentenza sia esecutiva, nulla viene però detto di questo all'imprenditore, che affronta quindi anche il ricorso in Appello fatto dalla controparte: anche qui la causa, tra perizie tecniche e cambi di giudici, si trascina negli anni e si chiude definitivamente solo ad aprile 2012: «Finalmente è finita, e adesso aspetto solo di abbattere quel muro, anche con le mie stesse mani se serve: ho sempre chiesto solo giustizia, e invece, causa amicizie, coperture, licenze illecite e abusi, mi ci sono voluti ben 48 anni», è lo sfogo di Scaburri.<+firma_coda>

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