La Chiesa di Bergamo e la Bolivia
una storia lunga cinquant'anni

Le Mura in un telo di aguayo, il tessuto dai mille colori tipico delle popolazioni andine. È l'immagine scelta come simbolo dalla diocesi per celebrare i 50 anni della cooperazione tra la Chiesa bergamasca e quella boliviana. Il vescovo da martedì sarà in Bolivia.

Le Mura Venete avvolte in un telo di aguayo, il tessuto dai mille colori tipico delle popolazioni andine. È l'immagine scelta come simbolo dalla diocesi per celebrare i 50 anni della cooperazione tra la Chiesa bergamasca e quella boliviana.

Una fraternità che non riguarda solo i 48 sacerdoti che in mezzo secolo sono partiti a più riprese per il Paese sudamericano ma anche tutte le comunità cristiane che con il volontariato e la solidarietà gli sono stati vicino e hanno imparato a conoscere la Bolivia.

È così che quel telo di aguayo ha un po' intessuto anche Bergamo dei suoi colori. Martedì il vescovo Francesco Beschi, partirà per una visita pastorale di due settimane in Bolivia proprio per celebrare i 50 anni di missione. Al suo fianco don Giambattista Boffi, da 15 anni alla guida del Centro missionario diocesano.

Come è iniziata questa lunga storia?
«Dobbiamo tornare indietro di 50 anni. L'allora vescovo ausiliare di La Paz, monsignor Gennaro Prata, chiese al nostro vescovo un aiuto: l'invio di alcuni sacerdoti a sostegno di una Chiesa locale ancora povera di vocazioni rispetto alla moltitudine della gente. In quei giorni un bergamasco, Papa Giovanni XXIII, apriva il Concilio Vaticano II, e la "leggenda" vuole che fu lui a indicare l'invio di due sacerdoti, monsignor Berto Nicoli e don Luigi Serughetti. Possono essere considerati i pionieri della missione. Si trovarono a fronteggiare l'emergenza educativa, le fragilità della vita familiare, i problemi sanitari. Furono gli anni in cui sorsero grandi opere come la Ciudad del Niño e l'ospedale Giovanni XXIII».

E poi?
«E poi seguì un ventennio che possiamo definire come una fase di "inculturazione" in cui ci fu una presa di coscienza e di servizio. Sono gli anni di sacerdoti che assumono in toto la situazione sociale dell'epoca con tutte le difficoltà di una situazione politica caratterizzata dalla violenza e dalla dittatura. I sacerdoti e alcune figure di laici portarono sempre una voce profetica di vicinanza ai poveri e alla gente. Sono gli anni in cui si consolidano le parrocchie a La Paz, ma anche a Cochabamba e in cui la chiesa si avvicina ai campesinos delle zone sperdute».

E oggi?
«Dagli anni Novanta a oggi, la missione bergamasca si è concentrata sull'accompagnamento e la formazione dei sacerdoti nei seminari e delle opere sociali come la Caritas ma anche sulla pastorale giovanile. Un cammino che ha portato a uno scambio costruttivo tra Bolivia e Italia. Si è rafforzato poi il tema del laicato per una maggiore consapevolezza nella globalizzazione delle divergenze tra Nord e Sud del mondo».

Tutta l'intervista è su L'Eco di Bergamo del 22 luglio

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