«L'ex bandito sbruffone
è ora in cerca di un futuro»

«È diventato un mito nero, un ricordo, l'icona sbiadita di quello che era allora. Uno stereotipo mediatico che fa vendere giornali. Ma lui non vuole più essere tutto ciò. Vorrebbe essere dimenticato». Leonardo Coen, ex inviato di Repubblica, parla di Vallanzasca.

«È diventato un mito nero, un ricordo, l'icona sbiadita di quello che era allora. Uno stereotipo mediatico che fa vendere giornali. Ma lui non vuole più essere tutto ciò. Vorrebbe essere dimenticato, diventare autonomo e forse le esperienze lavorative fuori dal carcere gli possono servire».

Leonardo Coen, ex inviato di Repubblica, penna raffinata, con Renato Vallanzasca per un paio di mesi ha vissuto fianco a fianco. «Veniva nel mio studio ogni giorno, lavoravamo a un libro sulla sua vita («L'ultima fuga», Baldini Castoldi Dalai, uscito nel 2010). Lui raccontava, io scrivevo».

I familiari delle vittime gli rimproverano però di non essersi mai pentito dei suoi crimini.
«Lui ha sempre replicato che il pentimento non è solo facciata e convenienza. È qualcosa che sta dentro al cuore, una questione privata che lui non si sente di sbandierare».

Ma così è difficile farsi capire dagli altri.
«Ha pubblicamente affermato che non rifarebbe quello che ha fatto».

E ci mancherebbe.
«Non voglio giustificarlo, nel libro ho solo cercato di capire perché ha fatto certe cose. Io non amo la violenza come soluzione né come scorciatoia per la ricchezza. Vallanzasca assassino era e assassino rimane, il suo passato non si cancella. Però ho avuto la sensazione che effettivamente abbia vissuto un travaglio». Del resto, chiunque dopo 40 anni di carcere non potrebbe mai essere uguale a prima».

Giusto concedergli i benefici dell'articolo 21?
«Ha espiato abbondantemente e oggettivamente è un caso unico. Credo sia l'italiano che più è rimasto dietro le sbarre. Però non saprei dare una risposta. Certo, la nostra Costituzione stabilisce che la detenzione abbia un solo scopo: quello di redimere, non di punire».

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