Nando Pagnoncelli su Città Alta:
Non basta fare le vasche sulla Corsarola

Più che un Luna park, una contraddizione: vivente e protetta dalle Mura. «Una sorta di microcosmo dei nostri tempi, caratterizzato appunto da tutte le contraddizioni del nostro vivere quotidiano». Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, Città Alta la conosce molto bene.

Più che un Luna park, una contraddizione: vivente e protetta dalle Mura. «Una sorta di microcosmo dei nostri tempi, caratterizzato appunto da tutte le contraddizioni del nostro vivere quotidiano». Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, Città Alta la conosce molto bene: da bergamasco vissuto in Santa Caterina «e che ha studiato al Sarpi». Il suo è uno sguardo particolare, velato d'affetto «per un posto semplicemente bellissimo» ma anche attento alle trasformazioni in corso. Non sempre condivisibili.
È l'eterno dilemma tra una città viva e una città museo?
«È un equilibrio da sempre molto delicato, che richiede risposte puntuali».
È giunto il momento di ripensare il ruolo di Città Alta?
«Sicuramente sì. Intendiamoci, l'obiettivo di renderla attraente è sicuramente condivisibile, ma le modalità scelte non sono forse esattamente coerenti».
Ammesso che si sia scelto qualcosa, perché l'impressione è che si stia semplicemente rincorrendo gli eventi. In ogni senso.
«Io mi soffermerei sull'aspetto identitario della questione. È un legittimo motivo d'orgoglio per noi bergamaschi mostrare Città Alta a chi viene da fuori, e questo al di là del mero ritorno economico e dell'aspetto turistico. Ci piace far vedere agli altri quanto sia bella».
Un'apertura insolita considerando il carattere un po' chiuso dei bergamaschi...
«E lo riconoscono loro stessi. Ricordo un'indagine di 8 anni fa nella quale emergeva come i bergamaschi ritenessero appunto la loro città troppo chiusa, sottolineando la necessità di aprirsi».
Ecco, nel caso di Città Alta aprirsi come? Con eventi di massa, ritrovi estivi sulle Mura, portando gente su gente su gente?
«Ma è questa la modalità di fruizione che volevamo? A titolo personale penso proprio di no. Fare le vasche in Corsarola non credo sia il modo migliore per capire e vivere davvero Città Alta. L'evento è appunto tale, non spiega niente di quello che c'è davvero dentro le Mura: la sua storia, l'arte, la semplice bellezza di un balcone proprio lungo via Colleoni. Che non vedi perché sei troppo impegnato ad evitare gente su gente».
Eppure deambulare su e giù va per la maggiore.
«Perché è difficile governare fenomeni di massa del genere, ma non possiamo nemmeno subirli come fatto finora».
Strizza l'occhio al turismo d'élite?
«No, affatto. Incentrare l'attenzione sul patrimonio culturale di Città Alta e non sugli aspetti commerciali o sugli eventi non mi pare una scelta necessariamente elitaria. Il problema è un altro: serve un governo illuminato di questi fenomeni e probabilmente anche un diverso modo di gestire l'accesso a Città Alta».
Ahia, materia esplosiva.
«Lo so. Ma mi domando semplicemente se ritrovarsi stipati lungo la Corsarola, facendo lo slalom tra pezzi di carta oleata e tranci di pizza - magari nemmeno acquistati nelle botteghe vicine - sia la modalità giusta per capire e valorizzare Città Alta. Poi mi prendo il rischio di essere considerato élitario...».
C'è tutto...
«Guardi, da giovane abitavo in Santa Caterina e studiavo al Sarpi. Avevo l'abbonamento dell'Atb ma non credo di aver mai preso una volta l'autobus: andavo a piedi. Mi fermavo a guardare i palazzi di Porta Dipinta, e la loro bellezza mozzafiato. Mi ricordo con nostalgia la neve lungo la Noca... Ecco, Città Alta è questa: al di là della capacità d'interpretare un arazzo, un dipinto».
Un tesoro a prescindere dai suoi tesori.
«Esattamente, ed è per questo che a maggior ragione possiamo diffondere la bellezza dei suoi tesori, perché Città Alta è bella in sé. Ma se uno si limita al flusso ininterrotto di gente lungo la Corsarola non si riesce a valorizzare nulla».
E con che occhio guardiamo interventi nuovi come l'albergo di piazza Mascheroni? Accettiamo la sfida delle modernità o giochiamo sul terreno della conservazione a prescindere?
«Confesso di non essere competente in materia, mi faccio guidare dal gusto personale. E quando vedo interventi innovativi in contesti classici resto affascinato dal contrasto, penso alla piramide del Louvre, per fare un esempio. Mi domando però se a Bergamo apprezzeremmo questi aspetti di contrapposizione: probabilmente no».
I bergamaschi sono gli stessi che però apprezzano interventi del genere, basta che siano fatti in altre città.
«Vero. Io credo che, rispettando l'equilibrio storico e architettonico, qualche intervento anche un attimo ardito abbia il suo significato se sostenuto da opportune argomentazioni». Non si mette nel partito del tóca negót? «No. Però tocchiamo con moderazione e cum grano salis».
Il rischio Luna park c'è però anche per quanto riguarda la scelta delle attività commerciali. In questi anni c'è stato qualche intervento discusso. E forse anche discutibile...
«Ma non c'è stata la corsa alla griffe, ed è una cosa importante. Quando vado in altri centri storici e vedo sempre le stesse insegne e firme in serie l'una dietro l'altra, lo ritengo un elemento che impoverisce il contesto. Non lo dico per snobismo, ma perché vorrei resistere ad un procedimento d'omologazione di realtà che hanno valori diversi in contesti differenti. Città Alta ha una sua unicità anche in certe botteghe, e va difesa».
Diversamente, perché venirci?
«Appunto. Al turista che arriva con 9,99 euro ad Orio con Ryanair, non possiamo offrire qualcosa che può trovare altrove, ma una bellezza autentica e unica. Ma anche ai bergamaschi stessi».
Privilegiando il commercio tradizionale e l'artigianato?
«Sicuramente bisogna ripensare la vocazione commerciale di Città Alta, da un lato tenendo presente il fatto che c'è gente che comunque la vive e la abita ogni giorno, dall'altro privilegiando certe forme di offerta più tradizionali. Senza però esasperare il concetto: diversamente si sfocia nel folklore».
La fiera del finto popolare?
«È un rischio concreto: ecco, restiamo autentici. Se c'è qualcosa di davvero popolare va valorizzato proprio in Città Alta, ma senza esagerare: non dobbiamo arrivare ad una sorta di Mercantico permanente, ma lavorare sugli equilibri».
A proposito di equilibri, luci ed ombre: non è troppo buia Città Alta? «Francamente sì, ma questo non vuol dire che per converso dobbiamo illuminarla a giorno, passando da un estremo all'altro. Pensiamo alle Mura, secondo me sono valorizzate davvero bene, con equilibrio: non posso dire altrettanto di Piazza Vecchia, per esempio. Ma più per trascuratezza che per una scelta precisa, mi pare di intuire».
Dino Nikpalj

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