Città Alta, se ne è andato il «Ciccio»
La sua Corsarola lo ricorderà

Se n'è andato in silenzio, lui che ogni tanto, su e giù per la Corsarola di Città Alta, cacciava urla improvvise che ti facevano sobbalzare. Egidio Borsatti, per tutti «Ciccio», 82 anni, sarebbe piaciuto un sacco ad Enzo Jannacci, ma anche a Robert Zemeckis.

Se n'è andato in silenzio, lui che ogni tanto, su e giù per la Corsarola di Città Alta, cacciava urla improvvise che ti facevano sobbalzare. Egidio Borsatti, per tutti «Ciccio», 82 anni, sarebbe piaciuto un sacco ad Enzo Jannacci, ma anche a Robert Zemeckis: un personaggio, forse l'ultimo tra le Mura venete, con una storia intrecciata tra «scarp del tennis» e «Forrest Gump», mentre la gente, nel suo pressapochismo irritante, lo etichettava come «fuori di testa» e si fermava lì.

Ciccio, in effetti, camminava su e giù, mani dietro la schiena, dalla funicolare a Colle Aperto, e copriva chilometri su chilometri: quando sentiva il tempo, iniziava ad inveire contro qualcuno. I bersagli erano trasversali e molteplici: si andava da Galeazzo Ciano a un gruppetto di ragazze, dal prefetto a chi gli gridava «Viva l'Italia», da un amico che credeva tale alla donna che ne aveva tradito le attese. E qui la storia comincia ad uscire dalla nebbia del disagio per prendere contorni angoscianti.

Egidio nasce in Valverde nel 1930, figlio di una sarta e di uno scultore: il padre muore quasi subito e si trasferiscono alla Fara, dove resteranno per cinquant'anni e dove Egidio, ventenne, s'innamora perdutamente di una ragazza. Una passione tanto profonda quanto non ricambiata, forse anche per l'ostracismo del fratello maggiore che, con la morte del padre, s'era eletto capofamiglia. Il disagio mentale di Egidio parte da qui, forse facilitato da una forma di autismo che lo porta ad isolarsi sempre di più, nonostante incredibili capacità di memoria legate a numeri e circostanze. E, all'epoca, se dimostravi anche un piccolo problema a livello mentale, non badavano a spese, specialmente con gli elettroshock. Quell'amore infelice è stato lo spartiacque della sua vita. «Che anca mi, mi go avu il mio grande amore», canta Jannacci che adesso è lassù che lo aspetta per cucirgli addosso la ballata più adatta.

Alla Casa di riposo del Gleno, dove era ospitato da un anno, andava spesso a trovarlo l'Ivan, suo grande amico: è successo anche l'antivigilia dell'ultimo Natale e, dopo il pranzo, il tour per salutare tutti gli amici. Fino all'anno scorso Egidio abitava in via Gombito 20, da dove giovedì, alle 10, partirà il corteo per il Duomo: l'appartamento in cui ha vissuto da solo è nel passaggio tra San Pancrazio e Mercato del Fieno. C'è un continuo viavai di gente fin su al terzo piano, dove si vede la Torre. Ciccio ha il viso finalmente disteso e gli affanni sembrano davvero lontani anni luce. I tanti nipoti non l'hanno mai lasciato solo e tre di loro (Irma, Giovanna e Patrizia) sono ancora lì che gliela raccontano.

A Pasqua aveva partecipato al pranzo con Irma, poi si era sentito male e si era spento poco a poco, senza mai lamentarsi. Ordinatissimo, aveva il portafogli rigonfio di ricevute: erano i bollettini dei versamenti per molte associazioni assistenziali e benefiche, la Lega del Filo d'oro per prima e le Missioni subito dopo. In Posta, per questa attività, era conosciutissimo. Ciccio era anche il sorriso e lo stupore fanciullesco quando ti consegnava a domicilio il giornale del pomeriggio, mandato da Franco (edicola della Funicolare), e tu gli offrivi un bicchiere di rosso. Adesso ha raggiunto il variegato esercito di macchiette di Città Alta, da Sciabulù al Cüminèt, dal Girèla ai Valsecchi, da Costante al Pasqua. Al Bar dell'Angelo chi vorrà incontrare ancora il sorriso di Ciccio lo potrà fare ad oltranza: è impresso sulla tela di un bellissimo ritratto, dono di un amico speciale. Anche qui, guardandolo soprattutto col cuore, non si potrà non notare. Che aveva due occhi da buono.

Pier Carlo Capozzi

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