«Aggrediti a suon di botte»
Moro racconta la disavventura

È successo quello che non era mai successo. Sull'Everest alcuni sherpa hanno aggredito e malmenato lo scalatore bergamasco Simone Moro e i compagni di spedizione Ueli Steck, svizzero, e John Griffith. Ecco il racconto di Moro.

È successo quello che non era mai successo. Sull'Everest alcuni sherpa hanno aggredito e malmenato lo scalatore bergamasco Simone Moro e i compagni di spedizione Ueli Steck, svizzero, e John Griffith, inglese, al seguito della coppia italo-elvetica per le riprese fotografiche. Un'aggressione assurda e inspiegabile, violenta, con pugni, coltellate e pietre che volavano come coriandoli a carnevale.

L'episodio si è svolto in due momenti. Con un antefatto in quota, nei pressi del campo 3 e l'epilogo al 2, dove a quanto pare si è sfiorata la tragedia. È lo stesso Moro, che assieme a Steck si trova da un paio di settimane sulle pendici dell'Everest per tentare una nuova via, a raccontarlo sul blog della Gazzetta: «Stavamo salendo a campo 3 per acclimatarci – riferisce lo scalatore – quando mi sono accorto che gli sherpa stavano attrezzando la via, ci siamo spostati. So che mentre svolgono quel lavoro non vogliono estranei fra i piedi. Siamo quindi saliti slegati, lontano dalle corde fisse che loro stavano ancorando. Arrivati all'altezza di campo 3, abbiamo dovuto traversare per raggiungerlo e così li abbiamo per forza di cose incrociati. Erano in tre e hanno cominciato a insultarci. Con Ueli sono arrivati al contatto fisico. Lui per non cadere si è afferrato a uno di loro. Minacciandoci con le piccozze, hanno abbandonato il lavoro e sono scesi. Noi abbiamo finito di piazzare le corde fisse che loro avevano abbandonato: 260 metri».

Una volta rientrati a campo 2, ad attenderli c'erano parecchie decine di sherpa. Qui è scattata un'aggressione in piena regola a suon di botte, pugni, calci e pietre. A un certo punto, Moro è stato anche assalito da uno sherpa con un coltello, evitando il peggio grazie allo zaino con cui è riuscito a ripararsi, voltandosi di scatto. In tutto 50 minuti di delirio. «Ci minacciavano – racconta ancora Moro – e ci dicevano che non dovevamo più farci vedere. Che avevamo un'ora per sparire se non volevamo essere lapidati. Ho preso calci anche quando ormai ero in ginocchio. Sono intervenuti altri alpinisti per fermarli e ci ha salvato una donna, abbracciandoci per impedire che ci colpissero ancora».

Ai tre alpinisti viene consigliato di lasciare il campo. Tra le minacce anche quella che, nella notte, uno di loro sarebbe stato ucciso. Così, preso l'essenziale, Moro, Steck e Griffith hanno cominciato a scendere, per una via pericolosa, ma ritenuta comunque più sicura dell'eventuale permanenza al campo.

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