Parenzan sta con Emergency
«Fa cose ritenute impossibili»

Il celebre cardiochirurgo risponde del perchè del suo impegno: «Perché no? Non solo si può, ma si deve. Quello che Emergency fa è eccezionale. Io non sono un volontario, sono un fan».

I titoli di coda scorrono sulle storie a lieto fine (si fa per dire) di Murtaza, uno dei tanti bambini mutilati da una mina a Kabul, in Afghanistan, e del suo coetaneo Yagoub, malato di cuore, profugo nel campo di Mayo Khartoum in Sudan. Un oceano di chilometri li separa, ma nei due continenti sofferenza e ingiustizia sono identiche. Ad arginare il dolore e la paura - e qui sta il lieto fine - ci sono gli ospedali e gli interventi di Emergency, l'organizzazione umanitaria di Gino Strada, a cui si è unito anche Lucio Parenzan, cardiochirurgo bergamasco di fama internazionale.

E a chi - al termine del documentario introdotto da Gianni Locatelli, del gruppo locale di Emergency, durante l'incontro promosso nell'ambito della Fiera dei librai - gli chiede la motivazione di questo nuovo impegno, Parenzan risponde lapidario: «Perché no? Non solo si può, ma si deve. Quello che Emergency fa è eccezionale. Io non sono un volontario, sono un fan». E aggiunge sul fondatore della Ong italiana, per un breve periodo suo allievo in cardiochirurgia: «Gino Strada è uno che fa le cose che gli altri ritengono impossibili».

Il centro Salam (pace) di Soba, in Sudan, è solo uno dei tanti esempi. Aver portato nel deserto il meglio della tecnologia moderna per la cardiochirurgia apre la porta ad un sogno ancora più grande, quello di «creare dei centri, almeno uno in ogni distretto regionale - è la proposta di Lucio Parenzan - dedicati ad una singola specialità medica, così che complessivamente in Africa sia possibile curare tutte le malattie».

Dall'Africa all'Italia - il racconto stavolta è di Angelo Moccia, responsabile di Emergency appunto per «Programma Italia», il progetto che domenica ha concluso la campagna di raccolta fondi - e il rientro un pochino sconcertante lo è. «Stiamo lavorando - spiega Moccia - perché anche qui ogni persona si veda riconosciuto il diritto alla salute». Facile correre con il pensiero agli stranieri curati nei centri di Emergency di Palermo e Marghera o sui Polibus, i poliambulatori mobili sparsi per l'Italia. Ma la precisazione è immediata: «A Marghera il primo paziente è stato un italiano. Ed è italiano un quinto della popolazione che si rivolge alle nostre strutture».

Difficoltà logistiche e problemi economici stanno dimostrando che un sistema sanitario, seppur capillare e universalistico (almeno sulla carta) come il nostro, presenta qualche difficoltà nella sua concretizzazione. «Qualcosa in questo sistema va cambiato e presto - conclude Moccia -. Il nostro obiettivo? Diventare inutili».

Mariagrazia Mazzoleni

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