Simone Moro e il linciaggio degli 8 mila:
«Da 20 anni tensioni qui all'Everest»

A tre giorni dall'aggressione in quota, quell'episodio che ormai resterà
conosciuto come il tentato linciaggio sugli ottomila, Simone Moro
ritorna a parlare di questa brutta pagina dell'alpinismo, forse una
delle più brutte in assoluto.

A tre giorni dall'aggressione in quota, quell'episodio che ormai resterà conosciuto come il tentato linciaggio sugli ottomila, Simone Moro ritorna a parlare di questa brutta pagina dell'alpinismo, forse una delle più brutte in assoluto.

Moro, cosa è rimasto di quello spirito?
«Quel rapporto, quel feeling, purtroppo non esiste più da tempo. E ciò che è successo è frutto di vent'anni di tensioni qui all'Everest. Adesso però non è importante cercare le colpe, ma recuperare il terreno perso, ricostruire quella sintonia».
Come?
«Dopo una guerra, la pace non si può ottenere da un giorno all'altro, dobbiamo però muovere i primi passi nella giusta direzione. E personalmente lunedì al campo base ho cercato proprio di fare questo».
Cioè?
«Invece di sporgere denuncia come suggerito dall'ufficiale presente al campo base, ho preferito imboccare tutt'altra strada. Così prima ho incontrato privatamente gli aggressori più accessi, stringendogli la mano e abbracciandoli, con un gesto di distensione che è servito a riportare un clima un po' più sereno. Quindi, durante una riunione con tutti i capi spedizione e tutti i capi degli sherpa, abbiamo fissato altri punti fermi. Prima di tutto, che una cosa del genere non dovrà mai più capitare. In secondo luogo, ho ribadito che non avremmo denunciato nessuno. Perché la denuncia significa certamente finire in prigione, e qui la galera è davvero pesante. Non abbiamo preteso nemmeno alcun provvedimento pubblico e umiliante per nessuno. Le eventuali punizioni verranno lasciate alla discrezionalità dei capi sherpa».
Torniamo all'aggressione: cosa è successo per farli imbestialire così?
«Non siamo riusciti proprio a capirlo. La ricostruzione dei fatti è quella ormai nota. Noi stavamo salendo verso campo tre e abbiamo incrociato questi sherpa intenti ad allestire le corde fisse. Non abbiamo interferito in alcun modo e non abbiamo nemmeno smosso del ghiaccio che poi li ha colpiti come qualcuno di loro ha sostenuto. Anzi, eravamo a una quota inferiore, abbiamo sì attraversato le corde fisse, ma senza creare alcun problema. È qui che gli sherpa hanno cominciato a inveire, aggredendoci non appena li abbiamo raggiunti, peraltro salendo parallelamente alla loro linea. Per stemperare la situazione, abbiamo anche allestito altri trecento metri di via, loro se ne sono andati e quando siamo tornati a campo due è scoppiato il finimondo».

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 1° maggio

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