«La malattia dell'azzardo
si vince con il gioco di squadra»

La parola magica è sinergia. L'obiettivo, mettere al tappeto il gioco d'azzardo patologico, il mezzo una strategia condivisa. Perché il problema da risolvere, «quello è anzitutto culturale prima che sanitario».

La parola magica è sinergia. L'obiettivo, mettere al tappeto il gioco d'azzardo patologico, il mezzo una strategia condivisa. Perché il problema da risolvere, «quello è anzitutto culturale prima che sanitario». Detto dal direttore del dipartimento delle Dipendenze dell'Asl di Bergamo, ha il suo perché.

Marco Riglietta ha assistito in prima persona all'escalation del fenomeno: in sei anni il numero di chi si è rivolto ai Sert della nostra provincia per uscire dall'ossessione del gioco è quintuplicato. Erano 28 nel 2005 e sono cresciuti fino a toccare quota 148 nel 2011, trenta in più all'anno a partire dal 2008, quando erano 64. Lo racconterà martedì sera 21 maggio a «Bergamo in diretta», in onda su Bergamo Tv alle 20,45, che lo vedrà ospite insieme a Luca Biffi del suo dipartimento e al direttore de «L'Eco di Bergamo», Giorgio Gandola.

Dottor Riglietta, ci aiuti a leggere questi numeri.
«Anzitutto una premessa: non dimentichiamo che il gioco è, anche, un comportamento normale, un modo di trascorrere il tempo divertendosi. Secondo il dipartimento delle Politiche antidroga del ministero oltre il 50 per cento degli italiani ha giocato almeno una volta nel 2011. Chi si ammala è invece una fetta che va dallo 0,5 al 2,20 per cento della popolazione totale, vale a dire dai 300 mila al milione e 300 mila di persone. Gente che, per strutturazioni neurobiologiche, è più predisposta a sviluppare comportamenti patologici, in presenza anche di fattori favorenti di carattere socio-ambientale».

Quali?
«La pubblicità, sempre più massiccia, dei vari tipi di gioco, oltre alla grande disponibilità di giochi, non ultime le videoslot ormai ovunque, i messaggi incentivanti che girano online. Rimango sconcertato dalla quantità di pubblicità di questo tipo che c'è su facebook, ma anche in tv, a ogni ora e quindi vista da ogni fascia di popolazione, giovanissimi inclusi. Si tratta, aggiungo, di fattori tutti abbastanza controllabili».

In che senso: controllabili da chi ne è l'autore o dal loro pubblico?
«Da chi li governa: conforta il fatto che si tratta di fattori che si possono ridurre o eliminare. Ci sono però anche altri elementi favorenti il gioco d'azzardo patologico, meno governabili. Sono gli alti livelli di disoccupazione e di povertà sociale: è provato che il gratta e vinci e i vari tipi di gioco hanno più presa proprio nelle fasce più deboli. Si gioca questa carta per cambiare vita. Aggiungerei anche i bassi livelli di scolarità: un grado di istruzione medio/alto è un buon protettore anche per questo fenomeno».

Parlava anche di «strutturazioni neurobiologiche».
«Sono fattori di rischio di tipo individuale, che possono cogliere pediatri e consultori, cioè temperamenti in cui è spiccata la ricerca della novità, la bassa percezione del rischio, le credenze irrazionali, il pensiero magico, cioè l'idea che, in base a studi statistici o a strumenti irrazionali quali per esempio la cabala o la smorfia, si possa vincere. Ma se sono stati estratti cinque numeri pari di fila, la sesta volta si avrà comunque il 50% che esca un numero pari e altrettanto che ne esca uno dispari: è la legge della probabilità».

Ci sono altri fattori di tipo individuale?
«Il fatto che la persona abbia una bassa capacità di gestire il proprio denaro. Un aneddoto: tempo fa un amico mi raccontò di quando, da adolescente, al gioco delle tre carte aveva speso le 50 mila lire che i suoi genitori gli avevano dato per le vacanze. Fu l'episodio che lo convinse a non giocare mai più. In questi casi occorre lavorare per aumentare le capacità di questi individui a dire no, in poche parole a farsi un carattere».

Questi i fattori di rischio. Ma come si può uscire dalla ludopatia?
«Non c'è un trattamento d'elezione che risolva il problema del gambling, la dipendenza da gioco. Si usa una terapia psicologica, preferibilmente di gruppo, anche di tipo cognitivo-comportamentale. È chiaro che i casi più gravi vanno gestiti anche con un supporto farmacologico».

Anche con una proposta residenziale, in comunità?
«Sempre per i casi più gravi potrebbe essere interessante che, nelle comunità di recupero, fossero previsti anche alcuni posti per questo tipo di dipendenza. Ovviamente i pazienti devono essere trattati in modo diverso, in base al problema di cui sono portatori. Il panorama del gioco d'azzardo è molto articolato e la risposta va data in modo altrettanto articolata. Articolata, ma univoca».

A questo proposito, quali risposte ha generato la Bergamasca in questo campo?
«La rete dell'offerta nell'ambito della dipendenza da gioco comprende i sei ambulatori del Sert (a Bergamo, a Gazzaniga, Lovere, Martinengo, Treviglio e Ponte San Pietro, ndr), il servizio ambulatoriale privato accreditato dell'associazione Aga di Pontirolo Nuovo, gli otto gruppi di auto-mutuo-aiuto (quattro dell'Associazione Insieme, al Patronato San Vincenzo di via Gavazzeni, in città; due dei Giocatori anonimi a Torre Boldone e altrettanti a Grassobbio, ndr). Ci sono anche i sei sportelli di ascolto e orientamento del progetto sperimentale "Scommettiamo che smetti?" e i centri di primo ascolto della Caritas. Ora, a Bergamo c'è un tavolo, non ancora formalizzato ma operante, che riunisce questi soggetti, nato per coordinare una strategia comune».

E sul fronte prevenzione?
«La Commissione prevenzione, in cui siedono tutti gli attori istituzionali, dall'Asl agli ospedali, poi l'Ufficio scolastico territoriale, l'Ufficio pastorale dell'età evolutiva, Ascom, Prefettura, i servizi sociali della Provincia, il Consiglio dei sindaci, i servizi accreditati, Federsolidarietà e l'Ufficio di piano, si occupa anche di gambling. In questa sede proporrò di lavorare, alla luce dell'ottimo lavoro fatto con il tavolo operativo "Notti in sicurezza" sul divertimento notturno, anche sul gioco d'azzardo, con la stessa modalità».

Marta Todeschini

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