Da Fikri alla pista di Gorno
Yara, il giallo continua

L'archiviazione della posizione di Mohammed Fikri non sposta nulla nell'equilibrio delle indagini. È da subito dopo la scarcerazione del pavimentatore marocchino, nel dicembre 2010, che il pm Letizia Ruggeri su questa pista ci aveva messo una pietra sopra.

L'archiviazione della posizione di Mohammed Fikri non sposta nulla nell'equilibrio delle indagini. È da subito dopo la scarcerazione del pavimentatore marocchino, nel dicembre 2010, che il pm Letizia Ruggeri su questa pista ci aveva messo una pietra sopra. Un binario ritenuto pressoché morto dopo che le traduzioni telefoniche che avevano portato in cella il maghrebino erano state smentite da nuovi interpreti. E i residui dubbi su Fikri non venivano considerati dal sostituto procuratore pregnanti, cosa che nei giorni scorsi ha riconosciuto anche il gip Patrizia Ingrascì nell'ordinanza con cui ha mandato in soffitta il fascicolo per favoreggiamento a carico del maghrebino.

La quasi totalità delle energie si è concentrata sempre sull'inchiesta principale, la caccia a «Ignoto 1», l'assassino che sui vestiti della tredicenne di Brembate Sopra, ritrovata morta il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d'Isola, ha lasciato tracce biologiche. È la pista del Dna che a un certo punto ha monopolizzato le indagini. Il fascicolo Fikri (prima quello per omicidio, poi quello per favoreggiamento) è sempre rimasto un satellite e, quando il gip Maccora aveva disposto ulteriori accertamenti su telefonate e altri punti, il pm Ruggeri aveva eseguito quasi obtorto collo. Intuiva che non avrebbero aggiunto elementi utili, come si è poi constatato.

Ma sono state verifiche utili a fugare gli ultimi dubbi su una figura, quella di Fikri, che qualche sospetto col suo comportamento l'aveva destato. Nessuno era convinto che il marocchino avesse partecipato al delitto, ma un'indagine così delicata, con enorme dispendio di energie, uomini e denaro, non poteva permettersi di lasciarsi alle spalle nemmeno la più piccola delle ombre. Il problema è che il filone principale non ha mai fornito spunti decisivi.

È stata una rincorsa ai fantasmi. E lo scrupolo degli inquirenti, diligenti a non tralasciare nulla - nemmeno le scalcagnate dritte delle veggenti, i sogni che parevano premonitori e i mitomani che sono la gramigna di ogni grande noir mediatico -, portava con sé anche la sensazione dello smarrimento di chi brancola nel buio. Per un periodo l'inchiesta è diventata una grande lotteria genetica: 18 mila prelievi salivari per lo più nei confronti di gente che si trovava a passare in zona quella sera, rintracciata grazie alle celle telefoniche. Ma nessun dna che coincidesse con quello ritrovato sugli indumenti di Yara. Fino a che le investigazioni scientifiche non sono riuscite a risalire al ceppo familiare e da lì al presunto padre naturale dell'assassino.

Giuseppe Guerinoni di Gorno, l'autista di autobus morto nel '99: è a lui che gli inquirenti attribuiscono un figlio illegittimo che si sarebbe macchiato del delitto di Yara. È da quel momento che i fari dell'inchiesta si spostano in Valle del Riso e in alta Valle Seriana. Una pista che non ha finora portato a nulla, ma che ha almeno permesso di restringere il campo della campionatura genetica. Stando ai calcoli di chi indaga, se è figlio dell'autista, il presunto assassino dovrebbe avere una cinquantina d'anni. È da questa cruna che ora devono passare i test del Dna. Nella caccia adesso sono tornate a valere le segnalazioni, le pruriginose storie di paese, l'anziano che si ricorda di ragazze madri, di bimbi lasciati in orfanotrofio. È da qui che potrebbe uscire il nome dell'omicida.

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