Dighe: dal Gleno al Vajont
per ricordare le due tragedie

Una marcia di 300 chilometri: «Vogliamo dare un senso spirituale a quegli eventi, riconciliando l'umanità. E poi esprimere gratitudine per chi, ancora oggi, combatte perché simili sciagure non si ripetano più».

La carcassa dell'enorme sbarramento è ancora lì. Sventrata. Qualche chilometro più in basso, seguendo il corso del Dezzo, si arriva alla chiesetta di Corna di Darfo, in provincia di Brescia. Ricorda le vittime di quella tragedia: il 1º dicembre del 1923 alle 7,15 la diga del Gleno cedette di schianto. Vennero recuperati 356 cadaveri, i morti stimati furono quasi 500.

Qurant'anni più tardi, parecchi chilometri più a Est, avvenne la tragedia del Vajont: alle 22,39 del 9 ottobre 1963 la montagna crollò nel gigantesco invaso, provocando l'onda che spazzò via Longarone e i paesi vicini. Le vittime furono duemila. C'è un filo rosso che collega le due tragedie.
Per riannodarlo il parroco di Angone, frazione di Darfo Boario Terme, ha organizzato un pellegrinaggio: «Vogliamo dare un senso spirituale a quegli eventi, riconciliando l'umanità. E poi esprimere gratitudine per chi, ancora oggi, combatte perché simili sciagure non si ripetano più».

Per farlo don Battista Dassa e altri sette pellegrini della Vallecamonica stanno percorrendo a piedi i 300 chilometri che separano la Valle di Scalve dai luoghi del Vajont, al confine tra Veneto e Friuli. Ieri pomeriggio erano a Ponte di Legno, dove alla comitiva si è aggiunta Elisabetta, un'altra pellegrina. Riusciamo a metterci in contatto telefonico con loro soltanto verso sera, quando il gruppo è quasi alla fine dei 21 chilometri previsti.

Un acquazzone li ha sorpresi prima di noi: «Ci siamo ormai abituati - scherza don Battista -, ormai sono cinque giorni che camminiamo. Siamo partiti il 15 agosto da Corna di Darfo: dopo un momento di preghiera alla chiesetta che ricorda le vittime siamo saliti a Vilminore. Qui, con la Messa, è iniziata la nostra escursione religiosa». Le giornate sono scandite da due momenti: «La preghiera all'alba prima di mettersi in marcia - spiegano i partecipanti - e il momento di riflessione serale, durante il quale leggiamo la storia dei due disastri o le toccanti testimonianze di chi è sopravvissuto». Ogni giorno poi si aggiungono nuove motivazioni: «Oggi (lunedì n.d.r.) abbiamo pregato all'ossario che commemora le vittime della Guerra bianca in Adamello».

Passo dopo passo hanno già lasciato alle spalle cento chilometri, ma il grosso dell'itinerario è ancora di là da venire: varcato il passo del Tonale il gruppo raggiungerà Terzolas, in Val di Sole, puntando poi verso Fondo, Bolzano, Moena (un tappone da 45 chilometri), Canale d'Agordo e Fusine.

L'arrivo a Longarone è previsto per domenica: «Ho contattato l'Associazione dei sopravvissuti alla tragedia del Vajont - anticipa don Battista -, ci sono vicini nel cammino e arriveremo a destinazione saranno lì ad accoglierci per raccontarci in prima persona cosa avvenne cinquant'anni fa». Il giorno successivo la comitiva salirà al Vajont dove, dinanzi all'immenso muraglione rimasto intatto, celebrerà la Messa che chiuderà il pellegrinaggio. Alla meta mancano duecento chilometri, ma don Dassa è pronto a scommettere sulla buona riuscita dell'impresa podistica: da sempre appassionato di montagna, il parroco di Angone non è nuovo a questo genere di imprese.

A fine luglio era salito in pellegrinaggio in Mortirolo; lo scorso 10 agosto ha guidato una sessantina di pellegrini da Bienno, in Vallecamonica, al convento di Santa Chiara a Lovere. Quanto al percorso Gleno-Vajont poi, vanta un precedente: «Avevo già sperimentato questo itinerario dieci anni fa con mia cognata Violetta - ricorda -, stavolta siamo più numerosi, ma l'entusiasmo è lo stesso». Con loro - assicurano i partecipanti - c'è infine una guida speciale: lo Spirito Santo.

Nicola Tomasoni

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