«In 10 anni il cemento ha mangiato
un territorio grande come Bergamo»

L'urbanizzazione del suolo in provincia di Bergamo vola: tanto che in dieci anni l'occupazione del suolo con case, fabbriche e strade è cresciuta a un ritmo talmente serrato che è come se fosse nata un'altra città poco più grande del capoluogo.

È uno dei dati presentati oggi a Milano dall'Osservatorio nazionale sul consumo di suolo, formato dall'Istituto nazionale di Urbanistica, dal Diap del Politecnico di Milano e da Legambiente.

Il territorio urbanizzato in Lombardia cresce - secondo le stime presentate - al ritmo di 103 mila metri quadrati al giorno. così in meno di dieci anni il suolo lombardo letteralmente «mangiato dalle citta» è cresciuto di circa 23 mila ettari. È sparito soprattutto il terreno agricolo, che si è ridotto di 26.728 ettari. 

Secondo il «Primo rapporto nazionale sul consumo di suolo» la superficie urbanizzata in Lombardia è di 288 mila ettari e ogni lombardo ha una quota di cemento procapite pari a 310 metri quadrati. Quasi il 14% dell'intera superficie regionale è urbanizzata. Una percentuale che sale al 55% se si considerano solo le aree pianeggianti.

Bergamo, Brescia, Mantova, Pavia e Sondrio sono le province nelle quali in meno di 10 anni il ritmo di crescita del suolo urbanizzato è stato tale da coprire un'area a volte superiore al capoluogo.

Una situazione simile in tutta la pianura Padana
Ogni giorno duecentomila metri quadrati di territorio del bacino del Po vengono mangiati dal cemento che avanza. Nelle regioni Emilia Romagna e Lombardia ogni giorno scompaiono 32 ettari di superfici agricole. Su venti regioni italiane, solo sei hanno avviato la ricognizione delle trasformazioni del suolo nel tempo.

Tra le regioni controllate c'è la Lombardia che risulta quella con la maggiore superficie urbanizzata, 288.000 ettari nel 2006. In Emilia Romagna invece, su un arco temporale esteso dal 1976 al 2003, il territorio urbanizzato è quasi raddoppiato, passando dal 4,8 al 8,5% della superficie regionale, mentre ancora maggiore è stata la perdita di aree agricole: ben 198.000 ettari, l'intera superficie media di una delle nove province emiliano-romagnole.

In Friuli Venezia Giulia, nel ventennio 1980-2000 si sono persi 6.482 ettari agricoli, ma dobbiamo tener conto che siamo in presenza di una regione di dimensioni ben più modeste e con una popolazione inferiore a 1,2 milioni di abitanti. Altissimo poi il dato dell'urbanizzato consolidato pro-capite: per ogni abitante residente vi sono ben 581 metri quadrati di superfici urbanizzate, contro i 456 dell'Emilia Romagna, i 310 della Lombardia e i 296 del Piemonte.

«Siamo partiti dal prendere atto di questa situazione di grave carenza informativa - scrive in una nota Federico Oliva, presidente nazionale Inu - che costringe coloro che si confrontano con il governo delle trasformazioni, e quindi in primo luogo gli urbanisti e gli amministratori, ad essere privi di qualsiasi riscontro reale circa l'efficacia delle scelte di pianificazione. Da qui la decisione di costituire un Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, che produca dati ma soprattutto pungoli le istituzioni a farlo in modo sistematico, coordinato e trasparente».

I commenti
«Il dato ha una sua chiara e drammatica gravità, legata alla scomparsa definitiva delle terre più fertili e produttive d'Europa - rileva Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia - seguendo l'esempio della Germania della Merkel, l'Italia deve darsi un piano nazionale di lotta al consumo di suolo, per questo i dati che descrivono la gravità del fenomeno sono indispensabili, sia per averne piena consapevolezza, sia per monitorare il raggiungimento di obiettivi di riduzione. La mancanza di dati attendibili sul consumo di suolo non giova a nessuno, se non a chi intende avere le mani libere per continuare a spalmare cemento sul territorio».

«Rimettere al centro delle politiche urbanistiche la "questione suolo" con tutte le implicazioni sul piano ambientale e sociale che essa impone - aggiunge Paolo Pileri del Diap Politecnico di Milano - è oggi urgente, ha a che fare con la vita di tutti noi e con la qualità di questa vita nei luoghi in cui viviamo. Il suolo è un bene comune sul quale occorre una politica saggia e lungimirante che non può essere quella attuale, peraltro basata sulla quasi totale non conoscenza di quali e quanti suoli si consumano e dove».

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