Il vescovo Beschi: «Irregolari
al pari di criminali: inaccettabile»

«Il pacchetto sicurezza porta in sè un elemento che è inaccettabile. Concordiamo che il problema dell'irregolarità va affrontato, prima di tutto per gli immigrati. Una persona che è irregolare non è nessuno dal punto di vista dei diritti, e anche dei doveri. Il nodo critico è come affrontiamo il problema dell'irregolarità: se lo facciamo dando un'immagine criminalizzante dell'immigrazione per noi questo è inaccettabile, perché è inumano». Il vescovo di Bergamo è entrato anche nel vivo delle ultime disposizioni inserite nel pacchetto sicurezza in materia di immigrazione, in un incontro con una settantina di sacerdoti, laici, religiosi e religiose rientrati per un periodo di vacanza da ogni angolo del mondo in cui sono in missione. Un incontro denso, partecipato, in cui il tema dell'immigrazione e dell'accoglienza è stato posto proprio ai missionari, a coloro che nella loro vita si sono fatti incontro a quei popoli da cui molti dei nostri migranti in terra bergamasca provengono. Quasi un segno di come la Chiesa di Bergamo sta facendo appello a tutte le sue forze per vivere a pieno questo «segno dei tempi» come è stata definita provocatoriamente l'immigrazione riprendendo le parole di Papa Giovanni XXIII.

«Vogliamo porre oggi il tema di come la Chiesa vive la missione e avvicinarci all'immigrazione come segno dei tempi» ha chiarito subito don Giambattista Boffi, direttore del Centro missionario diocesano, ad apertura del consueto incontro estivo ospitato dalle suore missionarie comboniane di via Piccinelli. Presenti una settantina di missionari bergamaschi a Hong Kong, in Malawi, Congo, Brasile, Eritrea, Papua Nuova Guinea, Bolivia e Costa d'Avorio, Cuba. Alcuni con alle spalle anche 60 anni di presenza in Paesi del sud del mondo, altri neofiti della missione. A tracciare in termini di dati la realtà migratoria a Bergamo, don Claudio Visconti, direttore della Caritas diocesana bergamasca, che ha rilevato come in soli sei anni la presenza degli immigrati in Bergamasca sia triplicata.

Don Massimo Rizzi, direttore del Segretariato Migranti ha invece posto l'accento su come i missionari possano diventare risorsa per il territorio e la Chiesa di Bergamo grazie alla loro attenzione innata alla diversità, nel promuovere l'attenzione dei gruppi missionari ai temi dell'immigrazione e nel facilitare l'incontro con le comunità etnico nazionali presenti nelle comunità. Poi la parola è passata a loro - i missionari - portati per natura a farsi incontro al diverso. Da loro una lettura della realtà bergamasca nel suo rapporto con l'immigrazione: hanno rimandato la loro famigliarità con «quelli che qui sono percepiti come nemici», ma anche la gratitudine per l'accoglienza che hanno sempre incontrato nei Paesi di missione, la ricchezza economica e di forze giovani che gli stranieri hanno portato nel triangolo produttivo bergamasco. E ancora la necessità di rispettare le regole da parte degli immigrati, il timore di perdere un'identità cristiana a tratti svuotata del suo senso profondo quando si «vede nell'altro solo il diverso», la questione educativa per le nuove generazioni. Alcuni hanno richiamato l'importanza di farsi testimoni dei vissuti dei migranti, di porsi le domande sul perché partono e lasciano i luoghi di origine ma anche la cruenza del Sudafrica, terra di immigrazione dall'Africa subsahariana, dove lo straniero alimenta una guerra tutta tra i poveri. Le testimonianze sono state dense, partecipate, un po' sorprese da questa domanda di senso posta proprio a loro.

«La missione - ha risposto monsignor Francesco Beschi dopo aver ascoltato tutti - è il criterio con cui leggere la vita della Chiesa. Siamo in missione, fuori e qui, affinché il Vangelo si radichi nella vita delle persone. Un radicamento che, a causa dei cambiamenti repentini che la nostra società ha subito in questi anni, non è più visibile e a volte non c'è. Ma non possiamo sottrarci alla missione, se siamo cristiani, perché obbediamo a un comando interiore». «Il tema dell'immigrazione - ha poi affrontato il vescovo - è innanzitutto un tema nuovo: non abbiamo quindi strumenti collaudati per interpretarlo, prima che per risolverlo. La Chiesa ha il Vangelo ma non le soluzioni in tasca per ogni tipo di problema e questo vale anche per l'immigrazione». «I missionari ci dicono di accogliere i migranti - ha osservato monsignor Beschi -. Lo sappiamo. Ma come? Siamo davanti a un cambiamento sociale di una portata rilevante: la presenza degli immigrati è triplicata in sei anni. I sociologi indicano nella soglia del 7% il limite di una presenza che diventa problema sociale. L'abbiamo abbondantemente superata e non ci siamo scannati ancora. Credo che questo sia merito anche della Chiesa che tanto ha fatto in questi anni in termini di aiuto fattivo».

«L'immigrazione resta comunque - ha osservato il vescovo - un fenomeno nuovo e un problema sociale. Mi interessa molto il come affrontarlo evangelicamente, come i valori di cui sono convinto possano diventare concreta realtà storica, qui e ora. Annunciando e anche testimoniando profeticamente. Cominciando da noi, dalle nostre comunità. Poi la profezia si farà storia, il nostro convincimento si farà cultura, politica, scelte». Il vescovo ha poi allargato la prospettiva. «Credo che la cultura dell'altro debba diventare prassi. Oggi celebro i miei quattro mesi a Bergamo, ma torno per un attimo ai miei anni bresciani. A quando sacerdote nei paesini della Val Camonica cercavo di organizzare incontri di preghiera tra due parrocchie vicine e si alzavano gli scudi. Altro che immigrazione. La città è indifferente? Ma nei paesini le faide dei trisavoli non trovano una soluzione per generazioni. La natura del problema è la stessa».

Sull'immigrazione è tornato affrontando anche il tema dei diritti, e del pacchetto sicurezza, ritenuto inaccettabile non perché affronta il problema dell'irregolarità, ma perché fa di persone che non hanno un permesso di soggiorno dei criminali. Un'attenzione particolare ha poi riservato ai migranti cattolici. «Dobbiamo prenderci a cuore - ha concluso - l'annuncio e la coltivazione della fede: non possiamo ignorare che nella Bergamasca ci sono 18 mila boliviani, tutti battezzati, il doppio di tutta la parrocchia di Martinengo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA