20 luglio 1969, 40 anni dopo
la luna fa ancora sognare

Neil Armstrong e Buzz Aldrin che saltellano goffi come bimbi nella loro ingombranti tute spaziali, le immagini in bianco e nero che si sfuocano, sfumano e gli astronauti diventano come fantasmi in quel panorama deserto, allucinante, di luci e ombre nette, senza zone di confine, senza grigi, come è impossibile che accada sulla Terra. E’ l’effetto della mancanza dell’atmosfera che diffonde la luce. Qui siamo sulla Luna, sul nostro pianeta e in quel paese chiamato Italia sono le 4.57 di lunedì 21 luglio 1969, dopo un’ordinaria domenica calda, di sole, preferibilmente da trascorrere via dalla città.

In molti se la ricordano quella domenica sera, dalle sette e mezza in avanti, passata davanti al televisore perché la Rai trasmetteva forse la sua prima trasmissione fiume, una non stop fino al mattino successivo, 21 luglio. Alle 22.17 di quella domenica, ora italiana, Tito Stagno e Ruggero Orlando, il primo in studio a Roma, l’altro inviato negli Usa, comunicavano ai telespettatori che il Lem, il modulo di discesa, ce l’aveva fatta, che si era appoggiato in maniera morbida nel Mare della Tranquillità, sulla Luna. La Luna! Un sogno incredibile fino a dieci anni prima. Ora bisognava aspettare qualche ora, attendere che gli astronauti facessero tutti i controlli necessari.

Il primo uomo a emergere dalla cabina di quel grosso e brutto giocattolo fu il comandante Neil Armstrong, scese con cautela la scaletta, toccò la polvere lunare e disse la famosa frase: “Un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l’umanità”. Erano le 4.56. La Luna! Si pensi che soltanto tredici anni prima nel miglior film di fantascienza degli Anni Cinquanta, “Il pianeta proibito” (ambientato nel XXII secolo), si diceva che i primi uomini erano discesi sulla Luna alla fine del XXI secolo.

Questa curiosità dà bene l’idea di quanto gli uomini considerassero lontana la Luna ancora alla vigilia dell’era spaziale. Ma quando Armstrong e Aldrin toccarono la superficie del nostro satellite si scatenò l’entusiasmo, coltivato dalle missioni Gemini, dalle altre Apollo, da quelle russe di Gagarin, della Tereshkova. Il capo del progetto che portò gli uomini sulla Luna, l’ingegnere tedesco Wernher Von Braun, si diceva convinto che entro la fine del millennio gli uomini avrebbero toccato Marte e magari Venere e avrebbero posto basi stabili sulla Luna. Niente di tutto questo è accaduto. In questi quarant’anni l’uomo non si è più scollato dalla Terra, al limite ha raggiunto la sua orbita, con Shuttle e Soyuz. Questa è la vera sfida che lancia l’anniversario dello sbarco lunare: la ripresa dell’esplorazione umana dello spazio, semplicemente perché sta scritto nell’indole umana: cercare, imparare, capire. Andare oltre. Prossima fermata Marte.

Paolo Aresi

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