Villaggio Gabrieli compie 50 anni
Una casa per donne in difficoltà

Il villaggio Gabrieli festeggia venerdì 4 settembre il suo mezzo secolo di vita. Alle 14.15, alla presenza del vescovo Beschi, si inaugura la mostra fotografica che ripercorre la vita di questo centro che da cinquant'anni offre aiuto alle donne in difficoltà. La mostra ha per titolo: «Dal sogno di madre Angela in viaggio nel tempo».

Nel 1954 suor Angela ebbe l’occasione di recarsi in Svizzera per visitare gli istituti di assistenza all’infanzia. Venne colpita da quelli che si chiamavano Villaggi Sos. Spiega suor Rita, attuale madre provinciale delle suore delle Poverelle: «Il Villaggio Gabrieli ha seguito un’evoluzione costante. Siamo partiti cinquant’anni fa ispirandoci ai Villaggi Sos, vennero create le comunità famiglia inizialmente per ragazze fra i dieci e i diciotto anni al posto del vecchio orfanotrofio che ricordava un po’ la caserma e un po’ l’ospedale. Ma in questo mezzo secolo le cose sono cambiate, le esigenze sociali oggi sono diverse, il problema degli orfani ha cambiato dimensione e forma, altre povertà sono venute avanti e la nostra congregazione ha tenuto l’orecchio teso per avvertire queste esigenze. Così oggi le palazzine del villaggio ospitano il "Pronto intervento" per mamme e bambini che vivono in famiglia una situazione insostenbile. Si tratta in genere di donne che subiscono violenze da parte dei mariti».

«Abbiamo Casa Felicina che è una comunità alloggio per ragazze adolescenti che vivono forti problemi causati dalle famiglie di origine. Due piccoli appartamenti li affidiamo a donne per progetti di autonomia. E poi la residenza socio assistenziale, una casa di riposo per persone anziane non autosufficienti con circa cinquanta posti, ospitiamo sia suore sia anziani laici».

«Cinquant’anni fa - racconta suor Fiorilde, che ha assistito alla nascita del Villaggio Gabrieli e ne ha seguito tutta la storia - cercammo di voltare pagina, di chiudere i grandi dormitori e i grandi refettori. Avevamo l’orfanotrofio tradizionale in Città Alta, scendemmo qui. Ogni orfana entrava in una famiglia, diventava responsabile di una parte del lavoro. Una volta al mese una ragazza preparava tutto, dalla colazione alla cena. C’erano quelle che si occupavano poi, sempre a turno, della pulizia, dei panni da lavare... E poi le ragazze andavano a scuola, certo, e c’erano i laboratori di maglieria, sartoria, cucito, ricamo».

Il vescovo Piazzi colse e condivise pienamente l’impostazione di queste nuove case-famiglia. Disse nel giorno dell’inaugurazione: «Il nuovo nell’educazione, nella formazione umana di queste figliole è qui: la preparazione alla famiglia. Già la stessa disposizione in piccoli gruppi dà loro la sensazione di essere non in un grande istituto, non in una massa, ma come in famiglia; e di vivere insieme fra sorelle».

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