Divorziati, abbraccio del vescovo:
«State nella Chiesa a testa alta»

Il vescovo Francesco ha finito di parlare, l'applauso è scrosciante, ci sono occhi umidi. La sala di ghiaccio si è sciolta, finalmente si è sciolta, dolori e risentimenti si sono dissolti e la gente che affolla la sala si sente accolta. Sente che in casa è stato acceso il caminetto.

«Carissimi – ha detto il vescovo Beschi – in qualsiasi condizione vi troviate, prendetevi la responsabilità di essere cristiani e di stare profondamente nella nostra casa, di stare a testa alta nella Chiesa insieme a tutti gli altri. Siate protagonisti nella Chiesa e ricordate che voi siete la Chiesa, la nostra casa, e che voi dovete costruire questa casa!».

Non abbiate paura, ha detto il vescovo, vivete pienamente la Chiesa, il cristianesimo, nonostante la condizione di separati o divorziati rappresenti una situazione particolare. E ha aggiunto il vescovo: «Certo questa coscienza della vostra importanza, questa coscienza ecclesiale di voi che siete Chiesa deve essere alimentata continuamente anche in chi vive una situazione diversa da voi».

Anche nei preti, anche in coloro che sono regolarmente sposati, anche in coloro che sono single. Ha parlato ai separati, ai divorziati, ai risposati monsignor Beschi sabato sera, nella sala delle conferenze della comunità dei preti del Paradiso, nella loro casa sotto le Mura, davanti alla nera pianura stellata dalle luci dei paesi.

L'iniziativa è del gruppo La Casa, guidato da don Eugenio Zanetti, gruppo che è un punto di riferimento per i cristiani che hanno vissuto la rottura del matrimonio, persone il cui rapporto con la Chiesa è spesso non facile, problematico. Il vescovo ha parlato senza risparmiarsi, per oltre un'ora, con profondità, evitando i luoghi comuni per quanto possibile. Ha condotto un'analisi alla luce del Vangelo, un'analisi antropologica della famiglia e della sua importanza. Ha puntato il dito contro l'ipocrisia della facile condanna di talune situazioni.

Ha raccontato il brano evangelico in cui Gesù si trova nella sinagoga di sabato e chiede: «È lecito al sabato salvare una vita?». E nessuno dei maestri e rabbini gli risponde. Allora Gesù li guarda uno per uno come a sottolineare la loro durezza e invita un uomo dalla «mano rattrappita» al centro della sinagoga: lo guarisce. Sebbene sia sabato.

Ha detto il vescovo: «Non ho formule magiche per coniugare verità e carità. Ma una cosa è certa: nella Chiesa questo rapporto tra verità e carità deve essere sperimentato». E allora il vescovo ha detto alle persone che affollavano la sala: «Non rassegniamoci: l'esperienza della fede ci fa sempre uomini della speranza. Speranza, non illusione.

La speranza è un sentimento che è possibile misurare giorno per giorno in relazione alla nostra minuscola realtà, la speranza è un lavorare, è un progredire continuo». Al termine del discorso ci sono stati diversi interventi dalla sala. Eccone uno: «Se avevo dei dubbi prima, adesso non ne ho più e voglio continuare a vivere il nostro cristianesimo a testa alta con umiltà e serenità». L'incontro era cominciato con l'introduzione di don Eugenio Zanetti che ha presentato l'attività e il senso del gruppo La Casa.

È seguita la proiezione di un audiovisivo con alcuni interventi dove persone divorziate hanno raccontato la loro esperienza e dove si ascoltava il colloquio fra una donna divorziata e risposata e un prete, colloquio in cui si sottolineava che «chi è risposato non è scomunicato, né condannato da parte della Chiesa. Tuttavia ci si trova di fronte a una situazione di vita di non piena comunione con la Chiesa.

In questa condizione si può comunque vivere soggettivamente il cristianesimo in maniera coerente, magari anche più di altri che conducono una vita formalmente regolare». La platea ha seguito con estrema attenzione ogni parola, senza commentare, senza applaudire. In perfetto silenzio. Un raccolto, profondo, ma anche freddo silenzio. Poi la parola è passata al vescovo che si è detto in soggezione davanti a tutto quel silenzio, in verità un po' cupo. E qualcuno ha riso, qualcuno ha applaudito.

Un po' tutti si sono sentiti più a loro agio. Il vescovo ha esordito con una domanda: «Qual è il problema più importante per la Chiesa? Quale la questione fondamentale? La questione fondamentale è la fede in Cristo crocifisso e risorto. Poi viene tutto il resto, anche la questione del matrimonio e del divorzio». Il vescovo ha analizzato la realtà della famiglia dal punto di vista umano, la sua importanza per la società, per gli individui, per la trasmissione dei valori, della conoscenza, della vita.

«Le relazioni familiari sono decisive per la vita. Banale? Certo, ma è così. Decisive, nel bene e nel male». E siccome Cristo ha molto a che vedere con il fondamento della vita ecco di conseguenza il desiderio della Chiesa di salvaguardare il patrimonio costituito dalla famiglia. Un patrimonio dal punto di vista affettivo, educativo, sociale. Sebbene nei secoli la famiglia, come qualsiasi istituzione umana, si modifica, cambia: «Cambiano i modelli familiari, le visioni culturali, i modi di concepire ruoli e relazioni familiari».

Il vescovo ha messo in guardia da due pericoli: il familismo e l'individualismo. Il familismo nasce in quella famiglia, in quel gruppo sociale dove l'individuo esiste soltanto in quanto parte della famiglia ed è interamente sacrificato al bene della famiglia. E l'analisi è proseguita mettendo in evidenza i modelli, i pericoli, le sofferenze della relazione coniugale. E comunque, ha detto il vescovo, la Chiesa deve avere la consapevolezza della sofferenza coniugale e matrimoniale, e di come a essa si può corrispondere. Consapevolezza della imponenza della realtà dei separati e divorziati che coinvolge tanti credenti.

Quale risposta per questo fenomeno, per questo torrente in piena che non accenna a diminuire? Il vescovo Francesco non ha dato risposte, formule magiche. Soltanto riflessioni. Ma ha sottolineato ancora una volta: la Chiesa è la casa di tutti i credenti, regolarmente sposati o separati che siano. «Nella casa ognuno può portare il suo dolore e anche la sua rabbia. Se non li porti a casa dove puoi portarli? Se non ti si ascolta a casa dove ti si ascolta? Bisogna sentirsi accolti nella casa-Chiesa anche quando si ha dolore e rabbia, anche se senti di avere fallito, anche se nel tuo cuore c'è un sentimento di rassegnazione».

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