E' morta la bambina di Nese
investita da un'auto nel 2002

Alessandra è volata in cielo. Libera da quel corpo che per sette anni è stato come una prigione nella quale scontare una pena senza colpa, inflitta da un destino che quando decide di condannare non concede attenuanti. Eppure da quella prigione dove non poteva più muovere braccia e gambe, con la vita appesa a un respiratore, Alessandra la vita per sette anni l'ha insegnata a tutti, se è vero che oggi un giovane calciatore di serie A, con presente e futuro ai suoi piedi, racconta che «la storia di questa bambina mi ha fatto capire quali stupidaggini siano le nostre tragedie per una partita persa», mentre la soccorritrice che per prima giunse sul luogo dell'incidente che ridusse così Alessandra, dopo essersi chiesta a lungo «perché dovesse capitare a me la sfortuna di un intervento così straziante», si è resa conto nel tempo che «è stata una fortuna. E oggi, che anch'io ho una bambina, ringrazio la lezione di Alessandra, che mi ha insegnato a capire la vita».

Era il 21 aprile 2002, quando una macchina impazzita falciò Alessandra Pellicioli, la sorellina Marika e la nonna Irma. Marika se la cavò con un volo terribile e qualche escoriazione, la nonna ha ancor oggi una spalla fuori uso, Alessandra restò a lungo sospesa fra la vita e la morte e tornò a casa solo il 31 agosto, dopo quattro mesi di ospedale: Terapia intensiva pediatrica a Bergamo, Rianimazione e Unità spinale a Niguarda, a Milano. Pochi giorni dopo, l'11 settembre, festeggiò il suo quarto compleanno, in quel corpo che era diventato come una prigione ma che lei non ha mai vissuto come una prigione. Quel corpo attorno al quale oggi piangono in tanti – nella casa di via Europa, a Nese di Alzano – accanto a mamma Barbara e papà Alessio, alla sorellina Marika e al fratellino Matteo, arrivato cinque anni fa.

«Era come se Alessandra – racconta lo zio Luca Acerbis, fratello di mamma Barbara – vivesse attraverso di lui. Erano legatissimi. Lei sorrideva sempre, non ha mai perso la speranza di poter tornare, un giorno, a camminare. E intanto Matteo faceva per lei ciò che lei sognava di fare. Il primo episodio che mi viene in mente ricordando Alessandra? L'incontro con Blanca, il suo pastore tedesco, al ritorno a casa dopo quattro mesi di ospedale: l'animale le appoggiò il muso sulle ginocchia, negli occhi una grande dolcezza, quasi a chiederle dove fosse stata tutto quel tempo». È un cane vivace Blanca, raccontano. Ma ora anche lei se ne sta rintanata in un angolo, in silenzio, nel cortile di via Europa. Raccontano anche che Alessandra fosse davvero grande. Grande perché molto più matura della sua età. E grande nel fisico perché, dicono, «cresceva, cresceva in continuazione, forse anche per le cure che le davano. Ogni 6-8 mesi bisognava cambiare la sedia a rotelle e il bustino che la sorreggeva».

Frequentava la prima media a Nese, dopo aver fatto le elementari ad Alzano. Aveva due insegnanti di sostegno, più un'assistente sociale che la seguiva nei compiti a casa. Come tutti i ragazzini di quell'età, aveva le sue preferenze: le piaceva l'inglese, la matematica proprio faceva fatica a digerirla. E dopo i compiti, spazio alle sue grandi passioni: colorare, i dvd di Hello Kitty e l'Atalanta: «Per i nerazzurri – racconta lo zio Luca – aveva una passione fortissima. Erano venuti a casa nostra Simone Padoin, Daniele Capelli (ora alla Reggina) e Claudio Rivalta (ora al Torino). E lei aveva ricambiato la visita l'estate scorsa, nel ritiro di Brentonico, in Trentino. Era felicissima». E Simone Padoin, centrocampista dell'Atalanta, oggi ricorda Alessandra con una sensibilità non comune per il dorato mondo del calcio, spesso così lontano dalla realtà: «Di fronte a situazioni come questa ci si rende conto di quanto siamo fortunati. Io e i miei compagni di allora restammo profondamente colpiti dalla tragedia di questa bambina, ma anche dalla sua forza. E oggi vogliamo essere vicini alla sua famiglia con il nostro abbraccio». A maggio le condizioni di Alessandra si erano fatte critiche: sembrava non ce la facesse, ormai funzionava un polmone solo e anche un banale raffreddore diventava un problema enorme. Tre-quattro giorni fa un nuovo peggioramento, verso le 3,30 di ieri mattina la crisi che l'ha portata via: se n'è andata alle 6,30, e i funerali saranno celebrati lunedì alle 10,15 a Nese, dove poi sarà seppellita. «Nella terra – spiegano – per essere più vicina alla natura che amava così tanto: fiori, foglie, prati, animali, il lago...».

«Adesso – dice ancora Luca Acerbis a nome della famiglia – cambierà la nostra vita. Ci guardiamo indietro e vediamo che questi sette anni sono volati. Ci mancherà il suo sorriso, che ha ripagato i suoi genitori di ogni sacrificio. Per stare con Alessandra hanno lasciato tutto, anche il lavoro. Per fortuna ci hanno aiutati in tanti». Tra questi tanti c'è Monica Rosa, che in quella terribile domenica del 2002 prestava servizio come volontaria della Croce rossa al parco Montecchio di Alzano. Lei e due colleghi – Gabriele Sirtoli e Franz Ravasio – furono i primi ad accorrere sul luogo dell'incidente: «Ricordo il corpo di Alessandra in una posizione innaturale, la nonna che perdeva sangue, con la testa sul marciapiede. E un pianto disperato che non si capiva da dove arrivasse. Era Marika, la sorellina di Alessandra: era finita in un giardino. Alessandra aveva ancora in bocca una caramella... Quel giorno rimasi sconvolta, in realtà sono stata fortunata: quella bambina mi ha insegnato la vita». E continuerà a farlo con il suo ricordo. Perché a chi le ha voluto bene non sarà difficile rivedere Alessandra in tutto quello che lei amava: il suo cane, Hello Kitty, un fiore colorato, un prato, il lago. Una foglia che, spinta dal vento, corre libera e fragile come lo è stata lei, fino alla fine. Mentre scontava, sorridendo, la sua pena senza colpa.

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