Addio piccolo grande Matteo
«guerriero del sorriso»

Matteo era il suo sorriso. E tra le foto che riempiono la casa dei nonni, a Brembate Sopra, non hanno avuto dubbi a scegliere questo scatto tutto denti e guance da mangiare, per dire a chi lo conosceva che Matteo Mazzoleni non c’è più.

Matteo era il suo sorriso. E tra le foto che riempiono la casa dei nonni, a Brembate Sopra, non hanno avuto dubbi a scegliere questo scatto tutto denti e guance da mangiare, per dire a chi lo conosceva che Matteo Mazzoleni non c’è più.

Il senso di una vita lunga soltanto 13 anni, costellata da crisi, ricoveri in ospedale e tante cose mai fatte è racchiuso nella frase che nonno Carlo fa scivolare sul tavolo del salotto. «Per sua mamma, suo papà e anche noi nonni, soprattutto la nonna materna che l’ha tanto seguito, è stata una grande croce. Ma per noi anche soltanto il suo sorriso era tutto».

Matteo era, è il loro guerriero, «così l’abbiamo sempre chiamato in casa». Doveva vivere due, tre anni al massimo, «ce lo dicevano tutti i medici che eravamo andati a interpellare, invece ha sempre superato tutte le sue crisi, con una forza immensa». Nonno Carlo, rimasto solo a casa dopo che tutti gli altri familiari hanno raggiunto il loro Matteo da anni stabilitosi nel Veronese, apre la sua dolorosa sequela di ricordi.

Ancora più dolorosa perché attraversata da un dubbio atroce. La diagnosi «senza nome, non abbiamo mai saputo quale sindrome doveva combattere Matteo», ha infatti visto presto insinuarsi il dubbio che tutto fosse dovuto a una vaccinazione. «L’aveva appena fatta quando ha cominciato a non reggersi, da più parti ci è stato detto che potrebbe proprio essere questa la causa».

Non c’è stato tempo per imprecare, per intentare una causa. Il sorriso di Matteo il piccolo angelo ha preso tutto il loro tempo. «Matteo non ha mai camminato, non ha mai parlato. Comunicava soltanto con il sorriso – aggiunge il nonno –. E facendo un po’ il muso, quando qualcosa non andava». Ce l’ha stampata nella testa e nel cuore la risata del suo nipotino, quando gli dicevano «adesso viene il nonno che ti porta a fare un giro col furgone». Come pure si ricorda i primi mesi, quando tutto andava bene, «Matteo era la salute in persona e si divertiva – aggiunge mostrando l’anta basculante del soggiorno – ad aprire con forza l’armadietto per sfilare uno ad uno i giornali che ci stavano dentro». Questo fino ai nove mesi. «I primi dubbi sono venuti quando ci siamo accorti che non gattonava ancora. È stato visitato in Ortopedia, ai Riuniti, da cui ci hanno dirottati al Besta di Milano. Lì ci hanno detto che aveva una malattia rarissima. Era solo all’inizio». Poi solo un sorriso. Tutto.

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