Bossetti e il cantiere a Palazzago
«C’erano altri quattro muratori»

«Lo vedevo sui ponteggi. Non passava inosservato con il pizzetto e i capelli ossigenati, abbronzato anche se era dicembre». La signora dalla strada giù in basso indica la villa di testa della «stecca» di via Pratomarone in cima a Palazzago, frazione Burligo.

«Lo vedevo sui ponteggi. Non passava inosservato con il pizzetto e i capelli ossigenati, abbronzato anche se era dicembre». La signora dalla strada giù in basso indica la villa di testa della «stecca» di via Pratomarone in cima a Palazzago, frazione Burligo. «Parcheggiava qui sotto – indica ancora la donna –, il furgone aperto dietro, chiaro e con delle strisce rosse».

È il cantiere (ormai finito) di Palazzago, sempre più centrale nelle indagini a carico di Massimo Bossetti, l’artigiano di Mapello in cella con l’accusa di aver ucciso Yara. È stato proprio lui, che si professa innocente, a puntare l’attenzione su quel cantiere (dove lavorava all’epoca della scomparsa della tredicenne di Brembate Sopra), nel tentativo di fornire possibili spiegazioni alternative che giustifichino la presenza del suo dna, traccia pesantissima, sul corpo della vittima.

Ne ha parlato nel corso dell’interrogatorio (che lui stesso aveva chiesto) di martedì davanti al pm Letizia Ruggeri. Nel corso dell’interrogatorio avrebbe fatto i nomi dei colleghi che lavorarono con lui a Palazzago (erano in tutto cinque, compreso lui) i quali a suo avviso potrebbero sapere qualcosa che aiuti a capire perché quel sangue sia finito su Yara. I muratori sono già stati sentiti nei giorni successivi al fermo di Bossetti, ma appare scontato che vengano nuovamente convocati dagli inquirenti.

Leggi di più su L’Eco di Bergamo in edicola il 10 luglio

© RIPRODUZIONE RISERVATA