Continua il maxi processo agli ultrà
«Botte ai catanesi per difendere la città»

«La Curva è il nostro spazio, gli altri tifosi lo fanno per rispetto nei nostri confronti, visto che siamo una componente importante dello stadio».

A parlare, nell’aula del giudice Maria Luisa Mazzola, è Andrea Piconese, uno degli ultrà imputati nel maxi processo sul tifo violento. Il 29enne ha spiegato, su domanda della pm Carmen Pugliese, il perché di quel vuoto al centro della Curva Nord, con tanto di recinzione. Un fatto che esula dal processo, ma che ha puntato l’attenzione sull’attualità. L’ultrà ha comunque assicurato al sostituto procuratore che «quello spazio non è “sacrosanto”, se vuole si può sedere là». Insieme a Piconese, sul banco degli imputati hanno preso posto ieri anche altri «vicinissimi» al Bocia: Andrea Quadri, orgoglioso «direttore» dei cori nello stadio, e Luca Valota.

Sugli scontri con i tifosi catanesi, Piconese ha spiegato che stavano facendo gli striscioni quando un «curvaiolo» ha avvisato del passaggio dei pullman. I fedeli alla Dea, temendo che «spaccassero la città», si sono mossi e sono iniziati gli scontri «corpo a corpo», fino a quando il Bocia ha alzato le braccia «e noi ci siamo fermati». «Non c’è stato lancio di oggetti – ha confermato Luca Valoti – quando i catanesi sono scesi dai pullman ci siamo scontrati e poi siamo andati via».

Valoti ha poi ricordato che, prima della Berghém Fest «era stato detto bene che non doveva assolutamente succedere niente, sono andato solo perché non c’era nessun presupposto che potesse far pensare a cosa sarebbe successo». E su quanto accaduto «non so neanche dire se sia stato qualcuno che si è staccato dal corteo o se era qualcuno che non era neppure con noi». E sulla contestazione a Zingonia: «Ruggeri non meritava di mantenere la presidenza della società, volevamo che vendesse».

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