Corse da incubo in Val Seriana
Ai conducenti minacce e insulti

Per associare un pullman al concetto di pericolo basta farsi un giro in Valle Seriana (ma non solo) e ascoltare le testimonianze dei conducenti, sempre che non si sia così (s)fortunati da incappare in qualche episodio poco edificante.

Una ventina di anni fa andava di gran moda un film nel quale decine di passeggeri rimanevano in ostaggio di un autobus e di una bomba collegata ad esso. Oggi, non serve pensare a Speed né ad alcun altro prodotto hollywoodiano per associare un pullman al concetto di pericolo: basta farsi un giro in Valle Seriana (ma non solo) e ascoltare le testimonianze dei conducenti, sempre che non si sia così (s)fortunati da incappare in qualche episodio poco edificante.

Un martedì pomeriggio di una normale giornata: incontriamo Alessandro Poli ad Albino, dove si scende dal tram delle Valli e si sale su uno dei pullman Sab. Lui è autista di autobus da ormai trent’anni e ne ha viste di tutti i colori, ma ultimamente si è stancato e ha deciso di lanciare un appello, per mettere in evidenza le difficili condizioni ambientali in cui è costretto a lavorare e che tanti passeggeri sono costretti ad affrontare.

«Ogni giorno è diventato impossibile: riceviamo insulti e minacce. Si sono formate bande di gente poco raccomandabile, che riempie il pullman in diverse fasce orarie». Stiamo per salire sul bus e, in fondo alla stazione, scorgiamo un gruppo di dieci ragazzi, vestiti in fotocopia, tra catene e cappellini rovesciati, che prendono di mira un ragazzo con problemi psichici: Poli lo chiama a gran voce e lui lo segue sul pullman, dove riesce a calmarsi. A bordo, in effetti, tutto procede all’insegna della tranquillità, anche se l’autista non chiede mai di esibire biglietti o abbonamenti.

Le minacce

«Non lo fa per paura –spiega Poli, passeggero per l’occasione–: molte volte, quando lo facciamo, parte la sfilza di insulti, parole che mi vergogno a ripetere. Qualche collega è stato anche picchiato, mentre io, recentemente, ho ricevuto precise minacce: non so come, ma sapevano il mio nome, quello dei miei figli, dove abito. Come posso andare avanti con serenità?».

A Casnigo e ritorno, con sosta al bar della stazione di Gazzaniga: lì incontriamo Michele Epis, un altro autista, che conferma: «Non ho mai assistito a episodi di violenza, né a rapine, ma la mancanza di rispetto è all’ordine del giorno: ho imparato a reagire sorridendo e rispondendo ironicamente parole gentili. Ma dentro fa male». Con la prepotenza, insomma, si bypassano i doveri. «Se un ragazzo mi dicesse che non ha soldi –riprende Poli –, non avrei il coraggio di farlo scendere. Ma il fatto è che, spesso, quando chiedo educatamente il biglietto, parte una reazione aggressiva: non è servito nemmeno chiamare i carabinieri. L’assurdo è che sono anche stato additato di razzismo, ma io riservo lo stesso trattamento a tutti». Autisti nell’occhio del ciclone, anche perché, ora, anche i passeggeri modello iniziano a ribellarsi: «Un anziano signore, l’altro giorno, mi ha detto in bergamasco “Me pàghe mia”: come altri, si sente preso in giro, perché è costretto a pagare e altri no: noi ci troviamo tra l’incudine e il martello».

Nel frattempo, il viaggio continua, la giornata è di quelle tranquille, ma all’altezza di Gandino sale un ragazzo sorridente, che saluta gentilmente Poli: «Non ci crederà, ma ho avuto una discussione con lui, giusto qualche giorno fa: quando è in gruppo si comporta diversamente, pensi che stava provando a dare fuoco ai seggiolini, che fortunatamente sono ignifughi. L’atmosfera è pesante, specie nelle corse serali quando ci troviamo con pochi passeggeri: gli stessi pullman stanno diventando palcoscenico di operazioni losche, come lo spaccio di droga. Non abbiamo le prove per dimostrarlo, ma ce ne accorgiamo quotidianamente». Come uscire da questa impasse? «Al momento la situazione fa sì che, per evitare guai, quasi tutti gli autisti non chiedano i biglietti e i controllori si muovano soltanto in gruppi di tre e mai nelle fasce orarie più pericolose. Alla Sab non si può chiedere più di quanto stia già facendo, semmai rivolgo un appello agli esponenti politici, ai quali ho già scritto senza ottenere risposta: salgano anche loro su questa corsa, tocchino con mano ciò che succede». Nel frattempo sono passate più di tre ore, è calato il buio e il bus è di nuovo al capolinea: senza bombe a orologeria, ma comunque con una buona dose di tensione.

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