Fiaccole e silenzio per la Passione
con il vescovo in Città Alta

Il primo pensiero, l'abbraccio ideale, è per le persone colpite dal terremoto, evento sconvolgente che - spiega la voce di un lettore nel silenzio di Piazza Vecchia - è «esperienza dell'impotenza, ci mette davanti al mistero dell'esistenza» e ci ricorda, ancora una volta, che «da soli non possiamo nulla».

Sarà questa intenzione, questa consapevolezza, ad accompagnare per le strade di Città Alta il cammino della Via Crucis organizzata da Comunione e Liberazione. Bergamo medita anche così sulle notizie drammatiche di questi giorni, ricordandole mentre fa memoria di un altro «evento sconvolgente», quella Croce da cui, dirà in chiusura il vescovo Francesco Beschi, «inizia la speranza del mondo, che risplende nella Resurrezione».

Sono quattro le stazioni della processione che ripercorre le tappe della Passione e morte di Gesù, sulle strade di una città che si scopre silenziosa, concentrata, assorta, mentre ascolta risuonare le parole del Vangelo. I presenti sono tanti, di tutte le età, giovani, adulti, anziani, numerosi bambini e qualche passeggino. Le riflessioni del «Mistero della Carità di Giovanna d'Arco», dello scrittore francese Charles Péguy, scandiscono come una litania, nei loro versi brevi, il racconto di un Gesù «buon operaio e buon compagno di scuola», a cui «tutti volevano bene, fino al giorno in cui aveva cominciato la sua missione».

Raccontano di una madre, «povera donna», e di un padre che «sapeva». Di un bambino che «giocava con le figurine» e che un giorno, sulla croce, lanciò il grido il cui clamore «risuona nel cuore di ogni umanità». Il cammino inizia da Piazza Vecchia, in un'atmosfera già primaverile scaldata dalle fiaccole accese, dai silenzi attenti di una folla in ascolto, dai canti del coro Sant'Agostino, presi dalla tradizione gregoriana, da Lorenzo Perosi, da Bach e da Mozart.

La processione si snoda lungo la Corsarola, scende verso le Mura e le invade pacifica in tutta la sua lunghezza. Sugli spalti c'è spazio per due momenti di preghiera e di raccoglimento, poi la processione risale passando da Colle Aperto, i passi scanditi soltanto dai cento rintocchi del Campanone, ultima voce della sera. Ed è sotto la sua torre che si fa ritorno, di nuovo tra i tavolini e il passeggio di piazza Vecchia, che si ferma ad ascoltare.

L'ultima, breve riflessione tocca al vescovo Beschi: «Il pellegrinaggio che abbiamo condiviso è il momento culminante di un lungo pellegrinaggio - dice -, cominciato sulle rive del fiume Giordano, quando Lui è apparso e Giovanni ha esclamato: Ecco l'agnello di Dio». Parole, quelle di Giovanni, che «riecheggiano nei secoli e sono diventate la nostra preghiera, la nostra invocazione di pietà a quell'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. E dove li mette, i peccati del mondo? Li carica tutti su di sé. È questo che noi contempliamo».

È sulla croce, ricorda il vescovo, che si scopre «un Dio che fa del peccato del mondo non una ragione di vendetta, ma di perdono. È questa la fede più grande, credere in un Dio così. Gesù, in croce, libera ciascuna delle nostre storie dal peccato». Ed è qui, conclude monsignor Beschi, in questa sera di Passione e morte, che nasce quella speranza che «splende nella Resurrezione, ma inizia sulla croce».

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