Formigoni e l'ultimatum leghista:
cadono anche Veneto e Piemonte

Alla fine di una giornata convulsa, iniziata con l'arresto dell'assessore regionale Domenico Zambetti e con la Guardia di finanza in regione per un'altra inchiesta sui costi della politica, la giunta di Roberto Formigoni traballa paurosamente.

Alla fine di una giornata convulsa, iniziata con l'arresto dell'assessore regionale Domenico Zambetti e con la Guardia di finanza in regione per un'altra inchiesta sui costi della politica, la giunta di Roberto Formigoni traballa paurosamente ma resta in piedi, almeno fino a giovedì 11 ottobre.

La Lega Nord, per ora, non stacca la spina ma passa la palla al presidente della giunta Roberto Formigoni. Consiglieri e assessori del Carroccio, infatti, nel corso della riunione che si è tenuta al Pirellone nella serata di mercoledì 10 ottobre, hanno consegnato al partito le dimissioni e giovedì il segretario federale Roberto Maroni e Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda, andranno da Formigoni «lasciandogli - ha spiegato Salvini - la scelta se fare un passo indietro o a lato», con l'alternativa dell'azzeramento della giunta.

Comunque vada i leghisti hanno già fatto capire che le elezioni sono sempre più vicine - anche a costo di rivendicare un presidente di transizione - perché la Lombardia, «la regione meglio amministrata - ha spiegato Salvini - non arriverà a fine mandato perché noi con la mafia non vogliamo avere nulla a che fare».

I leghisti hanno già indicato aprile come possibile data per le elezioni anticipate. Il Carroccio in questi travagliati mesi, con inchieste che hanno coinvolto direttamente anche il presidente della Regione Roberto Formigoni, ha sempre sostenuto di voler proseguire lealmente nell'alleanza con il Pdl a patto però che venissero realizzate alcune riforme, altrimenti avrebbe staccato la spina».

Formigoni ha sempre replicato che se cade la Lombardia cadono anche Piemonte e Veneto dove i presidenti sono della Lega. Mercoledì, però, dopo l'arresto di Zambetti, i leghisti, che pure hanno degli indagati in regione (l'ex presidente del consiglio Davide Boni, Renzo Bossi e l'ex assessore allo sport Monica Rizzi), non sono disposti a sacrificarsi. Far digerire al loro elettorato un'alleanza con un partito che al suo interno ha personaggi collusi con la mafia è, infatti, un compito che in via Bellerio viene giudicato come una missione impossibile.

C'è chi ha battezzato come «democristiana» la soluzione trovata dal Carroccio, di certo ora la palla passa a Formigoni. D'altra parte tutti i consiglieri di minoranza hanno consegnato a loro volta le dimissioni e se a queste si aggiungessero quelle dei leghisti, il consiglio regionale si scioglierebbe: «Domani - ha spiegato Salvini lasciando il Pirellone - io e Maroni incontriamo Formigoni con in tasca le dimissioni dei nostri. Lasciamo a Formigoni la scelta se fare un passo a lato o indietro, ci ragioni su stanotte, la Lega è determinata ad andare avanti».

Non si è fatta attendere la replica di Formigoni in tarda serata: «Mi sono sentito con il presidente Berlusconi e con il segretario Alfano, che hanno confermato la linea del Pdl: se cade la Lombardia un secondo dopo cadono Veneto e Piemonte». È quanto ha riferito il presidente della Regione Lombardia al suo entourage, secondo il quale il governatore è «assolutamente tranquillo» perché «quella assunta stasera dalla Lega è una decisione presa a livello locale».

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