Il 25 aprile 1945 visto da un bimbo
rivisto con l'esperienza dell'adulto

«Il 25 aprile 1945 avevo compiuto da un mese sette anni. Un età nella quale gli avvenimenti, se specie di impatto emotivo violento quali gli eventi bellici, si scolpiscono indelebilmente nella mente e, per quanto mi riguarda, non si sono né affievoliti né appannati dal momento che per tutti questi decenni li ho rinvangati quasi quotidianamente».

Inizia così il racconto di Luciano Andreucci, avvocato di Bergamo. Le sue parole - il suo racconto viene pubblicato sul giornale in edicola sabato 25 aprile - aiutano a rivivere i sentimenti, le sensazioni, le emozioni di quei giorni. Visti attraverso gli occhi di un bambino, rivissuti con l'esperienza di un adulto.

«Mi trovavo a Clusone da circa un anno, sfollato con la mia famiglia da Roma per sfuggire alla fame e ai bombardamenti che seminavano morte e distruzioni anche tra la inerme popolazione civile. Gli ultimi mesi della repubblichetta sociale furono patetici ed all’insegna della più completa disgregazione.
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Un giorno assistetti alla partenza per il fronte di un battaglione di bersaglieri con gli elmi piumati e con loro c’era come “mascotte” un bambino della mia età anche lui vestito da bersagliere e con un piccolo elmo. Non c’era però una folla esultante a salutarli, ma nell’atmosfera uggiosa poche persone e pochi applausi.
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E venne il giorno della liberazione. La Presilde, che era la nostra donna di servizio e che stava presso di noi da mane a sera, arrivò alla solita ora, le 7 del mattino, e disse che sarebbero calati i partigiani in paese e che mi avrebbe portato in piazza a vederli. Mia madre protestò vivacemente perché aveva timore, mentre mio padre si trovava a Bergamo per lavoro e sarebbe giunto a casa solo la mattina seguente dopo aver percorso a piedi i 36 chilometri che lo separavano da casa, non funzionando più i mezzi di trasporto.
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La gente sventolava bandierine tricolori (un piccolo bastoncino con il drappo di carta) e una fu data anche a me. Bandiere che non avevano lo stemma sabaudo e che erano così numerose che indicavano come ormai da tempo si fosse organizzata quella festa. I patrioti occuparono il Comune e poi ne giunsero altri ...

Un soldato non aveva più le mani e ci fece vedere come riusciva a bere da solo stringendo fra i due moncherini, con i polsi fasciati da una guaina di maglia di lana, il bicchiere e portandoselo alla bocca.

Un alto ufficiale alleato, accompagnato dalle Autorità, si fermò davanti all’Orologio Fanzago e lo fotografò e, meraviglia delle meraviglie, estrasse quasi subito dalla sua macchina fotografica la foto già sviluppata.
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Questi sono solo alcuni delle centinaia e centinaia di fatti ed episodi che posso raccontare e che, ormai giunto nel circuito della mia vita sul rettilineo finale, sto raccogliendo in un libro, dal momento che ritengo opportuno che la testimonianza diretta non debba andare perduta e debba essere tramandata».
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Il racconto completo su L'Eco di Bergamo del 25 aprile

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