Invernizzi, l’amico di una vita
«Un’avventura irripetibile»

di Alberto Ceresoli

L’altra faccia della Luna: se non ci fosse quella che vediamo ogni giorno, non ci sarebbe nemmeno quella che ci è nascosta. Tra Giorgio Invernizzi e Lucio Parenzan le cose stanno esattamente così.

di Alberto Ceresoli

L’altra faccia della Luna: se non ci fosse quella che vediamo ogni giorno, non ci sarebbe nemmeno quella che ci è nascosta. Le due facce, infatti, sono una cosa sola, «fuse» in un unico astro. Tra Giorgio Invernizzi e Lucio Parenzan le cose stanno esattamente così: il cardiologo è la porzione di Luna che dalla Terra non vediamo mai, il cardiochirurgo era quella che invece ci è familiare, illuminata dal sole, dai riflettori della ribalta.

Ma se Parenzan ha fatto quello che ha fatto, lo deve – oltre che a se stesso – anche al professor Invernizzi, la sua «ombra», l’uomo che fin dalla metà degli Anni ’60 ne condivise gli stessi ideali, le stesse aspirazioni, le stesse intuizioni.

È naturale, dunque, che questi siano giorni di profonda tristezza per Invernizzi, che in Parenzan aveva un grande, grandissimo amico. «Ci sentivamo spesso – racconta con commozione il cardiologo, una tra le figure più eminenti della cardiologia italiana ed europea –, l’ultima volta una settimana prima della crisi respiratoria che gli è stata fatale. L’avevo sentito bene, era tornato brillante come al solito, e la cosa mi aveva fatto un gran piacere, perchè significava che si era ripreso da un periodo difficile che aveva trascorso qualche mese prima, quando lo sentivo stanco e affaticato. Poi ha seguito il suo destino....».

Tra i due, l’amicizia scattò come una scintilla poco dopo l’arrivo di Parenzan al «Maggiore», a metà degli Anni Sessanta. «La sua idea di occuparsi delle cardiopatie congenite nel bambino era entusiasmante per tutto quello che si portava dietro nel campo della fisica, dell’emodinamica, di tutti i distretti anatomici coinvolti in questa grande sfida. Le sue aspirazioni erano anche le mie, e viceversa, i miei ideali erano anche i suoi, e viceversa. Certo non fu facile: i benpensanti di allora ci ritenevano dei temerari, e non aggiungo altro...».

Ma se nessuno comincia a percorrere una strada – si dissero Parenzan, Invernizzi e Anna Funicello, anestesista, altro pezzo che non può mancare in questo fantastico puzzle –, difficilmente si riesce ad andar lontano, soprattutto in Medicina. «La nostra – ricorda Invernizzi – è stata un’amicizia fatta di comuni opinioni umane e professionali, di comuni entusiasmi, e la consideriamo il motivo principale del successo del nostro lavoro».

Sperimentazioni per l’età neonatale, nell’Italia di quegli anni, non ce n’erano proprio, e così i tre «temerari» cominciarono ad andare in giro per il mondo a raccogliere esperienze. «Decidemmo di provarci e mettemmo a punto un sistema di diagnosi integrata che ha mantenuto tutta la sua utilità fino all’avvento dell’ecocardiografia, una decina d’anni dopo. Poi però c’erano anche altri problemi». Un conto, infatti, era operare a cuore aperto delle stenosi mitraliche in un adulto di 60-70 chili, ben altro conto era operare un «bambino blu» di 3-4 chili: le strutture anatomiche e vascolari sono completamente diverse.

Ma Parenzan, Invernizzi e Funicello non si danno per vinti: «Dovemmo ricominciare da capo, riprogettare le strutture meccaniche, rivedere gli attrezzi e le modalità di intervento per abituarci alla bisogna...», racconta Invernizzi che, senza quasi accorgersene, mise in piedi una vera e propria scuola di cardiologia pediatrica al di fuori dell’ambito universitario. Gelosie e politica ci misero del loro in quanto a bastoni tra le ruote, ma si andò avanti lo stesso, tanto che dai «bambini blu» si arrivò al trapianto di cuore.

«Con Lucio abbiamo vissuto un mucchio di emozioni, e non solo mediche. Mi ricordo dei tanti viaggi fatti con lui nel Sud d’Italia, in Calabria, in Sicilia, per cercare di ridare speranze e assistenza ai malati di quelle regioni. E mi ricordo le diffidenze di certi ambienti culturali del posto. Quante battaglie...».

Ma l’affetto e l’amicizia che legano i due, Invernizzi la vuole tenere tra i sentimenti più riservati. «Lucio ha portato la cultura medica dal provincialismo della nostra piccola patria al mondo, e da lì ha riportato a Bergamo tanti elementi di costante progresso. È stato lui il suggeritore e la guida della maggior parte delle iniziative di studio e di cura delle cardiopatie nel nostro gruppo».

Quali erano i tratti salienti del suo carattere? «Aveva una sete costante di apprendere, una capacità unica di prevedere gli eventi, un’invidiabile fermezza nel prendere le decisioni, un’innata capacità di conoscere bene gli uomini, una socievolezza e una tolleranza umana che ne hanno fatto un vero maestro, un caposcuola. E questo spiega anche la grande accoglienza che ebbe nel mondo medico internazionale».

«Se la professione medica è stata per me anche una meravigliosa avventura umana – conclude con la rassegnazione di chi sa che non rivedrà più l’amico di una vita – lo devo al privilegio, determinante, di aver lavorato per una vita al suo fianco». Parenzan avrebbe detto lo stesso.

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