La donna in coma da 4 anni ai Riuniti I periti: l’apparecchiatura era inadeguata

Il macchinario degli Ospedali Riuniti usato per l’anestesia era totalmente privo di allarmi o sistemi di sicurezza, e la sala dove è stato eseguito l’intervento era inadeguata. Lo hanno spiegato oggi i periti nominati dal tribunale durante la nuova udienza del processo per il tragico incidente avvenuto ad Antonella Giua, il 15 marzo del 2000. La donna, che aveva partorito un figlio da pochi giorni, si stava sottoponendo ad un intervento di raschiamento: da allora è in coma per aver inalato protossido d’azoto a causa del distacco del tubo dell’ossigeno dalla presa a muro.

Con l’accusa a vario titolo di lesioni colpose sono a processo l’ex primario Giuseppe Ricucci, l’operatore dell’anestesia Alberto D’Amicantonio (che non aveva una specializzazione come anestesista, pur avendo eseguito diverse centinaia di anestesie) e l’ingegnere Alberico Casati, responsabile della manutenzione. Che l’apparecchio non fosse conforme l’ha confermato anche l’ex primario, su sollecitazione del pm: ma quel giorno Ricucci era a Milano. Casati invece ha ricordato che il suo reparto interveniva solo su chiamata, in caso di segnalazione di guasti.

Per i periti di parte D’Amicantonio si è trovato a lavorare in condizioni estremamente difficoltose, in una sala inadeguata con carenza di strumenti, e senza l’ausilio delle due figure di infermieri professionali che invece sarebbero state necessarie. Anche i consulenti di Casati hanno sottolineato l’assenza di sistemi di sicurezza nel macchinario, che non risulterebbe nemmeno inventariato come proprietà dell’ospedale. L’udienza è stata aggiornata al 1° aprile.

(13/2/2004)

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