Expo: ecco dove finiranno i padiglioni
È scattato l’ultimo assalto - Video

Ultimo giorno dell’Expo di Milano. Dopo 6 mesi di grandi numeri si pensa già al futuro. Ma intanto stamattina, sabato 31 ottobre, si è scatenato l’assalto finale all’esposizione universale con i padiglioni più gettonati, come quello del Kazakistan, subito «attaccati» dalla folla.

Dopo aver incantato con le loro mastodontiche architetture milioni di visitatori da tutto il mondo, una volta calato il sipario su Expo per i Padiglioni si apre una nuova fase: quella che in gergo tecnico si chiama «dismantling», smantellamento.

Già dal 2 di novembre il sito di Rho-Pero torna ad essere un cantiere. Prima entreranno i camion per traslocare gli interni, poi le gru, le ruspe e i mezzi che serviranno a smontare le strutture. Nel pieno spirito dei temi che hanno caratterizzato l’Esposizione milanese, molti dei 54 Paesi che hanno realizzato un proprio Padiglione lo riutilizzeranno, in patria o altrove.

I quattro silos della Svizzera, ad esempio, diventeranno serre urbane in altrettanti cantoni elvetici. Il giardino botanico del Bahrain tornerà a lussureggiare nel Paese arabo. L’oasi del Padiglione degli Emirati Arabi Uniti - tra gli elementi più ammirati dell’Expo - sarà ricollocata a Masdar City, «la prima città del mondo a emissioni zero”»secondo colui che l’ha progettata, l’architetto britannico Norman Foster (lo stesso che ideato il Padiglione). Mentre le sfere dell’Azerbaijan diventeranno un centro per la tutela della biodiversità nella capitale Baku.

Diverse le strutture che saranno riutilizzate per scopi sociali e progetti di cooperazione internazionale: il Padiglione Don Bosco diventerà un centro giovanile in Ucraina, i container che compongono lo spazio del Principato di Monaco ospiteranno un centro della Croce Rossa in Burkina Faso. Il villaggio della onlus Save The Children troverà collocazione nel campo profughi di Jarahieh, in Libano. Parti delle strutture Kinder+Sport e Slow Food andranno in Africa. Le prime diventeranno aule didattiche e infermerie, le seconde animeranno gli orti degli agricoltori. Il Padiglione Coca Cola, che ha le dimensioni di un campo da basket regolamentare, resterà invece a Milano, per diventare un centro sportivo.

I Paesi che non riutilizzeranno le proprie strutture, come impongono le regole di Expo, dovranno comunque riciclare le parti in legno e quelle in ferro dei Padiglioni. Ad esempio, il legno pregiato utilizzato per costruire i «semi» della Malesia, il teak, dopo lo smantellamento sarà rivenduto in Italia. Fine simile farà la struttura del Padiglione Colombia, che sarà riciclata e reimpiegata in Italia per future costruzioni.

Molti Stati hanno poi deciso di donare le parti «simbolo» dei loro Padiglioni: gli alberi più imponenti dell’Austria saranno ripiantati in una foresta nei pressi di Bolzano; l’alveare della Gran Bretagna diventerà un’opera d’arte urbana in patria; le colonne del Vietnam saranno donate al Comune di Alassio, in Liguria. E poi ci sono quelli che proveranno a vendere le loro strutture, tutte o a pezzi. È il caso del Brasile (che metterà all’asta anche la rete) e del Belgio.

Totalmente demoliti saranno Cina, Germania, Spagna, Thailandia, Qatar e Uruguay. Infine ci sono le strutture - poche - che resteranno: Palazzo Italia, Padiglione Zero e l’Albero della Vita. Le tre opere simbolo di Expo, come ha annunciato il commissario unico Giuseppe Sala, resteranno «congelate» all’interno del sito, per poi tornare a vivere, probabilmente la prossima primavera. Destino ancora incerto per Israele e per il Padiglione The Waterstone di Intesa Sanpaolo. Quest’ultimo, in particolare, potrebbe restare a Rho-Pero o essere ricollocato a Milano.

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