Orso «sponsor» delle montagne?
Ma non tutti sono d'accordo

L'orso «sponsor» delle montagne bergamasche? Il progetto lanciato dal Parco delle Orobie per sfruttare in chiave turistica la figura del predatore sta suscitando curiosità e anche qualche (inevitabile) perplessità. Anche da parte di Coldiretti.

L'orso «sponsor» delle montagne bergamasche? Il progetto lanciato dal Parco delle Orobie per sfruttare in chiave turistica la figura del predatore sta suscitando curiosità e anche qualche (inevitabile) perplessità. Mentre procede la mappatura dei «luoghi dell'orso», cioè la ricerca delle località dove il plantigrado è passato di recente o dove la sua presenza nella storia è testimoniata da toponimi e stemmi, prende posizione Coldiretti Bergamo: «Non abbiamo nulla contro l'orso – spiega il presidente Alberto Brivio – ma andrebbero valorizzati altri aspetti, ad esempio i nostri inimitabili prodotti tipici e il ruolo degli agricoltori, che contribuiscono ogni giorno al modellamento del paesaggio». «Un ambiente così creato dall'uomo – aggiunge – non è più l'habitat ideale per l'orso, la cui presenza, tra l'altro, è sempre stata definita “episodica”. Eventuali risorse disponibili devono essere indirizzate a coloro che continuano a mantenere fruibile nella sua unicità il Parco: sostenere il turismo legato all'enogastronomia locale innescherebbe un circolo virtuoso utile e concorrerebbe anche al mantenimento dell'assetto idrogeologico delle montagne. A livello nazionale il turismo enogastronomico ha generato un fatturato di 5 miliardi ed è l'unico segmento crescita nell'offerta turistica». «Speriamo – conclude Brivio – di poter conoscere più dettagliatamente i progetti del Parco e ribadiamo la nostra disponibilità a confrontarci per il settore agricolo e la montagna».

Giovanni Giudici, presidente dell'Associazione provinciale allevatori, aggiunge: «Forse non è il momento per un'iniziativa simile: molti allevatori hanno ancora il "dente avvelenato" dopo le polemiche dei mesi scorsi sull'orso».

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 5 settembre

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