Rilanciare il lavoro
per tornare a sognare

Franco Cattaneo

Per Bergamo il 2014 sarà un anno di svolta: si dice sempre così ad ogni giro di calendario, ma in questa occasione c’è il linguaggio dei fatti. A primavera si vota per il sindaco della città, in 171 Comuni e per le europee.

Per Bergamo il 2014 sarà un anno di svolta: si dice sempre così ad ogni giro di calendario, ma in questa occasione c’è il linguaggio dei fatti. A primavera si vota per il sindaco della città, in 171 Comuni e per le europee, poi sul finire dell’anno ci sarà il rinnovo dei vertici della Camera di Commercio. Si arriva così a ridosso dell’Expo, l’irripetibile occasione di discontinuità.

La Grande Crisi non molla l’osso e in questi anni abbiamo lasciato sul terreno 15 mila posti di lavoro. Ci sono in giro voglia di riscatto e la ricerca di un pensare positivo. E chissà che non sia la volta buona. Pur al netto di sofferenze individuali e collettive, la società bergamasca nel complesso tiene: fatica, ma resiste con coraggio.

Per lei parla la sua storia, che non è passata invano: il tessuto solidaristico, le famiglie con il loro Welfare di ultima istanza, l’ancoraggio alla manifattura che rappresenta tuttora la cultura e il valore aggiunto dell’uomo bergamasco. Finché dura, fino a quando si può contare sui risparmi accumulati. Chi più chi meno, ciascuno ha fatto i compiti a casa, ma con velocità diverse.

La politica amministrativa si muove nel perimetro dei piccoli passi, un incedere non precipitoso, quasi per sottrazione e nella logica della riduzione del danno: non ci sono più soldi e la dove è possibile non si aumentano le tasse locali e si garantiscono i servizi. Nelle condizioni date si è intrappolati nel presente: il governo dell’esistente, la manutenzione in tempi eccezionali. Per questo si fatica a cogliere una prospettiva di rilancio, una proposta di sviluppo. I sogni sono rinviati.

La comunità, viceversa, mantiene una sua vitalità, pur consapevole dell’urgenza di ricostruire legami sociali qui e là deteriorati: da oggi in poi ripensare il Welfare sarà la grande questione della Bergamasca perché nel prossimo futuro le casse pubbliche saranno ancora più vuote e perché le logiche pubblico-privato si stanno spegnendo.

L’economia è in chiaroscuro: le reti lunghe dell’export si battono bene e mantengono un profilo alto, ma la frustata traumatica è stata subita dall’edilizia che da noi significa il 20% del Pil e 75 mila lavoratori nel periodo ante crisi sui 450 mila occupati. La filiera della casa è stata falcidiata e la piccola impresa (la miscela azienda-famiglia-territorio, cioè la base sociale della Seconda Repubblica) che si muove sul mercato domestico orfano dei consumi è in apnea.

Le due emergenze

È convinzione diffusa fra gli addetti ai lavori che l’aggancio alla ripresa sarà possibile se e quando la Bergamasca rientrerà dallo smottamento dell’edilizia: l’opera di ricostruzione ha come premessa la ricomposizione del modulo casa. Bisogna poi vedere la congiuntura del metalmeccanico dopo la gelata del 2013, uno degli anni più difficili. È vero che stiamo meno peggio di altre realtà avendo un tasso di disoccupazione al 6,8%, cioè poco più della metà del dato nazionale. Ma è pur vero che dalla prima metà degli anni ’70 eravamo scesi dal 5% al 2,1% coprendo il lungo arco temporale della piena occupazione: l’età dell’oro, quando i lavoratori si dovevano cercare e inseguire.

La recessione ha scavato nel profondo della composizione sociale, restringendo e declassando la società di mezzo, quella del ceto medio. Con due emergenze. La prima, tristemente nota, è quella dei giovani, ora frustrati ora scoraggiati, privi di strumenti d’ingresso nel mondo del lavoro se non quelli discutibili dello stage. La seconda, che non ha neppure dignità di cronaca, riguarda i cinquantenni espulsi dal lavoro: per loro non c’è biglietto di ritorno in fabbrica, si arrangiano come possono, relegati nell’inservibilità sociale.

È come se nel silenzio generale si stesse formando una nuova sottoclasse della marginalità, osservando che gran parte di questi ex lavoratori generici sono figli di quella Bergamasca che nella competizione fra lavoro e scuola scelse il primo regalando i frutti avvelenati di un benessere con poca cultura e con un tasso di scolarizzazione che per lungo tempo è stato al di sotto degli standard nazionali.

Chi corre e chi no

Possiamo specchiarci in cicli virtuosi, eppure dovremmo riflettere su quelli critici. Abbiamo dalla nostra progressi significativi nella scolarità, l’Università ha il vento in poppa e un’istruzione tecnica molto alta. Le infrastrutture si vanno completando: la Brebemi è quasi pronta, poi c’è la Tav e il tutto fornisce alla pianura un inedito protagonismo quasi ribaltando la gerarchia geografica della Bergamasca.

C’è l’export dove non si perdono quote di mercato e, non ultimo, il sistema del Welfare e del Terzo settore. Quel Welfare che, sorretto dalla straordinaria rete del volontariato, è una delle risorse primarie e qui c’è da capire quanto abbia inciso la crisi e quanto il ritiro forzato dell’iniziativa pubblica con la stretta del Patto di stabilità.

Non riusciamo tuttavia ad uscire dalle nostre storiche debolezze: il basso tasso di occupazione femminile, che riflette anche un certo costume, la frantumazione territoriale con un patriottismo localistico fuori misura che impedisce la governance del territorio e che segnala arretramenti anacronistici. E poi la risaputa inadeguatezza nel fare squadra: su questo terreno sarà decisiva la partita di Orio, cioè la principale azienda bergamasca, con Montichiari.

C’è chi corre e chi resta indietro come la Val Brembana dove avanza l’inverno demografico: per rianimarla saranno sufficienti turismo e agroalimentare e quali politiche territoriali? L’ingresso del Trevigliese nei cicli della mobilità europea imporrà nuovi equilibri al nostro territorio, per quanto per ora non ci sia stata una «pianurizzazione» della Bergamasca: la stessa Val Seriana, reduce dalla crisi del tessile, ha mostrato una sorprendente reazione positiva specie nella fascia di Alzano-Nembro-Albino. Il punto, oggi più dI ieri, è da dove ripartire per lo sviluppo. In città è stata archiviata Porta Sud, la grande suggestione per espandere i suoi margini che ha impegnato nell’ultimo mezzo secolo tutte le amministrazioni, non riuscendoci neppure nei cicli economici espansivi.

Il nostro tesoretto

Bisognerà puntare sul riutilizzo dell’esistente: vedi la Montelungo, in attesa di conoscere la prospettiva degli ex Riuniti dove potrebbe traslocare l’Accademia della Finanza. Andranno ripensate con una marcia in più la dimensione fisica della città, che ha sempre più i capelli bianchi, e la sua vocazione. Non è più la stagione del protagonismo del contado pedemontano degli anni ’90 e lo stesso capitalismo molecolare dei padroncini è in crisi.

La tendenza oggi è l’investimento in capitale umano, soprattutto per le aree urbane che rappresentano il vero motore del sistema Paese. Lo ha ricordato recentemente il presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, e lo dicono gli studi di un economista che va per la maggiore, Enrico Moretti, per il quale «le città con un’alta percentuale di lavoratori a scolarità elevata diventeranno le nuove fabbriche, centri per la produzione di idee, sapere e valore».

Ecco allora il nostro tesoretto: l’università, l’aeroporto che macina record, il nuovo ospedale dell’eccellenza, il Kilometro Rosso. Quel quadrilatero virtuoso che insiste fra città e hinterland, che non possiamo più chiamare Grande Bergamo, termine che rinvia a una stagione non particolarmente felice e comunque oggi superata. In quest’area la concentrazione fra industria innovativa e servizi di qualità raggiunge i livelli della migliore Europa.

Se la via della modernizzazione passa da qui, anche Bergamo dovrà saper incrementare la capacità di attrarre giovani, invertendo un trend demografico che la vede inesorabilmente invecchiare. Bisognerà così lavorare non solo su economie più innovative o su politiche sociali più inclusive, ma anche su un diverso modo di concepire lo spazio fisico urbano rivedendo i modi dell’abitare (pensiamo alle residenze temporanee o a canone calmierato) e prestando maggiore attenzione alla qualità e alla flessibilità degli spazi pubblici con un’offerta più ricca sia di luoghi di ritrovo e di svago che di offerta culturale. La politica non è tutto, ma specie quella di prossimità delle amministrazioni locali mantiene importanza strategica e dignità da difendere.

Non solo gestione

Questione di giorni e sapremo se per Bergamo si ripresenta Franco Tentorio e sul fronte del centrosinistra se il candidato sarà Elena Carnevali o Giorgio Gori. Sarà essenziale scegliere in base al profilo dei sindaci (non c’è solo Bergamo come abbiamo visto), in quanto bisognerebbe poter leggere dietro le candidature la capacità di rispondere a «queste» esigenze e a «questa» crisi, perchè non tutti vanno bene per qualsiasi stagione.

Meno soldi pubblici equivalgono a minori possibilità di costruire consenso. E non è solo questione di sindaci, pur in una stagione di estrema personalizzazione della politica, bensì di squadra (gli assessori). Capacità di visione, dunque, specie in tempi grami, più immaginazione per superare l’ordinaria amministrazione e per creare la «connessione sentimentale» con i cittadini, intercettando i nuovi bisogni di un’opinione pubblica esigente che non fa sconti a nessuno.

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