Se l’Italia è il Paese
dove tutto è possibile

di Pierluigi Saurgnani

Lo stillicidio di furti nelle zone più isolate della città e della provincia (in Maresana come a Villongo, per fare solo i due più eclatanti esempi) sta raggiungendo livelli allarmanti, tanto da diffondere tra i residenti un senso di rassegnata impotenza oltre che di ansiosa insicurezza.

Lo stillicidio di furti nelle zone più isolate della città e della provincia (in Maresana come a Villongo, per fare solo i due più eclatanti esempi) sta raggiungendo livelli allarmanti, tanto da diffondere tra i residenti un senso di rassegnata impotenza oltre che di ansiosa insicurezza. Come pensarla diversamente, del resto, se i furti in Maresana sono addirittura avvenuti a poche decine di metri da un sopralluogo di carabinieri e vigilantes? Ma allora i bergamaschi devono rassegnarsi a vedere impunemente violate le loro case? Certo che no.

Ma le nostre tante (e forse poco coordinate fra loro) polizie sono chiamate a un più efficace utilizzo e a una più efficiente riorganizzazione delle loro forze, poche o tante che siano: il tormentone della cronica carenza di personale di polizia nella nostra provincia è vecchio di trent’anni - e neppure un ministro dell’Interno leghista è riuscito a modificare una poco equilibrata distribuzione di agenti in ambito nazionale – e, in ogni caso, non può giustificare un’azione sul territorio non del tutto incisiva. Soprattutto oggi, quando l’immagine di una provincia tranquilla e poco toccata dalla delinquenza è solo un pallido ricordo.

Le forze dell’ordine sono poi chiamate a uno sforzo in più anche per riconquistare pienamente la fiducia della gente dopo che questa, a seguito delle inchieste sui poliziotti assenteisti e sui carabinieri infedeli, si è un po’ incrinata agli occhi dell’opinione pubblica. Anche alle polizie locali è richiesto un ruolo di maggiore affiancamento, in questa fase di emergenza, a polizia e carabinieri nell’azione di prevenzione e di repressione dei crimini. Probabilmente andrebbero rivisti i turni di lavoro che oggi sono spostati prevalentemente sulle ore diurne: alcune Amministrazioni locali si sono già adeguate alla necessità di una presenza di agenti di polizia locale nelle ore notturne, altre invece sono rimaste ferme, probabilmente ancorate alla vecchia figura di vigile urbano dispensatore di multe per divieto di sosta. Oggi, però, c’è bisogno di ben altro.

Ma può bastare un maggiore impegno delle forze di polizia? No, se le pene per gli autori dei furti - per limitarci a questo reato fonte di grande allarme tra la popolazione - non vengono adeguate a quelle degli altri Paesi. Ha detto bene qualche giorno fa in un’intervista al «Fatto quotidiano» Piercamillo Davigo, consigliere di Cassazione e già pm ai tempi di Mani pulite: «Il tasso di repressione concretamente applicato in un Paese non può essere troppo diverso da quello degli altri, per l’ovvia ragione che se è più alto esporti criminalità, se è più basso la importi».

Ed è evidente che l’Italia è da anni una grande importatrice di criminalità. «In Italia – era stata la confessione a «L’Eco» qualche anno fa (ma valida tuttora) di una coppia di clandestini - sono tutti più buoni. In Romania la polizia è cattiva, in Romania se fai un furto finisci in carcere per 10 anni. E una rapina ti costa 22 anni dentro. Qui è diverso». E la conferma era arrivata dal responsabile lombardo della comunità romena: «In Romania si ha l’immagine dell’Italia come di un Paese dove si può infrangere impunemente la legge, senza finire in galera, senza pagare in alcun modo. In Romania non è così. Ecco perché tanti delinquenti vengono in Italia. Nel mondo criminale c’è un passaparola e l’Italia viene considerato il Paese dove tutto è permesso. Si sa che, anche se la polizia ti prende, poi in un modo o nell’altro riesci ad uscire dal carcere.

In Romania se qualcuno calpesta la legge i poliziotti lo mettono in galera e non c’è nessun giudice che ha fretta di farlo uscire. Così da noi si ha paura di sbagliare. Da voi, in Italia, questa paura non c’è. I delinquenti romeni non vanno in Germania, Francia, Austria o Ungheria perché sanno che lì ci sono pene severe. Invece in Italia sanno che si può rubare».

Ecco spiegato, se non proprio tutto, comunque parecchio. Ed è un discorso che vale non solo per i delinquenti importati, ma anche per quelli autoctoni.

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