Sanità privata, senza contratto da 7 anni
Un presidio davanti all’Asl di Bergamo

Si definiscono «contrattualmente invisibili» e sono numerosi, soprattutto in Lombardia, la regione italiana col più alto numero di strutture sanitarie private accreditate.

Sono i lavoratori della sanità privata, senza contratto ormai da 7 anni: nella nostra Regione sono circa 30 mila, a Bergamo e in provincia 2 mila al lavoro alle Cliniche Humanitas Gavazzeni, alla Clinica San Francesco, al Policlinico San Marco di Zingonia, al policlinico San Pietro a Ponte San Pietro, alla Clinica Quarenghi di San Pellegrino, alla Clinica Castelli di Bergamo, alla Casa di cura Habilita di Zingonia e, ancora, nella Casa di cura Palazzolo, all’Istituto Palazzolo di Torre Boldone, all’Istituto Palazzolo Sacro Cuore, all’Istituto don Guanella a Verdello, a NephroCare di Seriate, all’Istituto don Orione, alla Fondazione Ferb di Trescore e Gazzaniga e alla Villa Santa Apollonia di Bergamo.

Per rivendicare i loro diritti, si riuniranno in presidio martedì 4 novembre, dalle ore 10 alle 12 davanti alla sede dell’Asl di via Gallicciolli a Bergamo. L’iniziativa è stata proclamata da Fp-Cgil e da Cisl-Fp provinciali.

Pur senza contratto, si legge in una nota unitaria sindacale, questi lavoratori «continuano a fornire assistenza di qualità, quella sbandierata dalle aziende per ottenere i rimborsi regionali. Le cliniche private di Bergamo, le Rsa associate a Aiop, Aris o Aris Rsa, lamentano i tagli a budget regionali, ma poi si rivalgono sui lavoratori con continue richieste di doppi turni, straordinari, rientri sul posto di lavoro, i quali rischiano seriamente di compromettere la sicurezza e la qualità del servizio erogato all’incolpevole utenza, proponendo in modo concorrenziale prestazioni private scontate anche allo scopo di evitare le interminabili liste di attesa del Servizio Sanitario Nazionale. Ci viene detto che i tagli subiti consentono a fatica il mantenimento degli attuali standard occupazionali. Basta frottole! Il requisito occupazionale applicato è il minimo dettato dalla Regione per non perdere gli accreditamenti».

«Ricordiamo che le case di cura e gli istituti privati italiani, grazie al sistema di accreditamento vigente in Lombardia, erogano circa il 35% delle prestazioni sanitarie - spiegano i sindacati -, per le quali ricevono puntualmente il pagamento delle tariffe dalla Regione oltre alle quote di partecipazione alle spese – ticket - pagate in anticipo e direttamente dai cittadini».

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