Gli imprenditori bergamaschi:
«Marchionne mette il dito nella piaga»

«Senza Italia faremmo meglio». Questa e altre dichiarazioni di Sergio Marchionne alla trasmissione «Che tempo che fa» di domenica 24 ottobre non hanno mancato di suscitare polemiche, riaccendendo il dibattito su cosa significa, e cosa comporta, fare impresa nel Belpaese. Uno spaccato lo danno alcuni imprenditori e sindacalisti bergamaschi, che su un fatto sono tutti d'accordo: sono ancora troppi i ritardi che sconta il nostro Paese, che inevitabilmente incidono sulla competitività delle aziende.

«Al di là dei modi provocatori, Marchionne pone un problema concreto, che è quello della competitività del nostro Paese», afferma il presidente di Confindustria Bergamo, Carlo Mazzoleni. Di sicuro, secondo Mazzoleni, ci sono opportunità nel produrre in altri Paesi; «detto questo, le opportunità di investimento si valutano non solo tenendo conto del costo del lavoro e della produttività del lavoro, ma anche di altri fattori, come ad esempio le filiere e le reti di subfornitura», solo per citarne alcuni. C'è comunque da prendere atto del fatto che, «mentre in Germania il «clup» (costo del lavoro per unità di prodotto, ndr) negli ultimi anni si è ridotto di quasi dieci punti, in Italia è andato incrementando di altrettanto». Riguardo poi le relazioni industriali, Mazzoleni evidenzia che il sindacato italiano dovrebbe affrontare in modo unitario la sfida del recupero di competitività. Se «è importante combattere per mantenere la presenza industriale in Italia, bisogna dire che la lotta è molto difficile, perché fare impresa è molto difficile», afferma Silvio Albini, vice presidente di Confindustria Bergamo e consigliere delegato del Cotonificio Albini. Una risposta alla perdita di competitività del nostro Paese potrebbe essere, secondo Albini, «applicare di più il modello Bergamo a livello nazionale».

«Se fino a 15 anni fa quando noi italiani vendevamo sul mercato tedesco eravamo sicuri che il prezzo che proponevamo sarebbe stato comunque inferiore a quello tedesco, oggi ci sentiamo dire: "Tu sei il più caro"». La realtà, secondo Raffaele Ghilardi, presidente del gruppo metalmeccanici di Confindustria Bergamo, è che si fa fatica a vendere e il miracolo economico è solo un ricordo, mentre oggi bisogna fare i conti con la globalizzazione, dove «tutto il mondo è tuo concorrente». Ghilardi spezza comunque una lancia a favore del nostro Paese, sottolineando che «all'estero non si trovano le stesse competenze che abbiamo in Italia». Poi però bisogna fare i conti con le carenze infrastrutturali e con problemi organizzativi. Basta pensare alle fiere di settore: «Quando vado all'estero e vedo come sono strutturati questi eventi torno a casa con le orecchie basse – dice –. Non a caso l'Italia non ospita più fiere internazionali, vedi quella dell'auto di Torino, che ha chiuso i battenti, mentre Francoforte e Parigi sono ancora note in tutto il mondo».
Miro Radici, presidente di «Miro Radici Family of Companies», sottolinea che «tutto il sistema deve cambiare e diventare più favorevole alle realtà industriali, perché stiamo perdendo competitività». La politica, secondo Radici, dovrebbe darsi un programma e definire le strategie, ma «in questo momento sembra presa da altri problemi».

«Con tutta la stima che ho di Marchionne, non dice niente di nuovo». Così Domenico Bosatelli, presidente di Gewiss, che commenta: «La nostra azienda si difende perché investe in ricerca e sviluppo, intesi come processo e non come progetto». Un imprenditore non ha bisogno di incentivi, secondo Bosatelli, ma di essere libero da lacci e lacciuoli che gli impediscono di competere sul mercato. Sul sindacato, poi, non ha dubbi: «Farei un monumento in ogni piazza italiana al sindacato degli anni '50, quello che si batteva per la dignità del lavoro e della sicurezza. Quello di oggi deve modernizzarsi e non pensare alla conflittualità, ma partecipare alle economie di scala delle imprese». I leader del sindacato bergamasco, dal canto loro, sono unanimi nel riconoscere i costi elevati e l'eccessiva burocrazia con cui devono fare i conti le imprese. «L'impianto manifatturiero bergamasco resta però competitivo – commenta il segretario provinciale della Cisl, Ferdinando Piccinini – e le relazioni sindacali possono giocare un ruolo determinante sul territorio». Concorda Marco Cicerone, segretario provinciale della Uil, che sottolinea come Bergamo abbia fatto scuola in epoca non sospetta, quando ad esempio alla Tenaris Dalmine si è avviato il ragionamento sull'azionariato dei lavoratori dipendenti. Secondo Luigi Bresciani, segretario della Cgil, «si vuole far passare l'idea che è diminuendo le tutele ai lavoratori che si "risolvono" i problemi, mentre è sulla qualità e sulle nuove produzioni che bisogna puntare». E ancora: «Nessuno difende l'assenteismo e nessuno dice no ai 18 turni. Gli accordi si possono fare sui turni e sulla flessibilità, purché avvengano nel rispetto dei diritti dei lavoratori».

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