I nuovi indicatori di crescita
passano da un'analisi del sociale

La Cgil e lo Spi-Cgil di Bergamo, con l'aiuto di due esperti, un economista ed un sociologo, hanno affrontato questo tema oggi, in occasione del seminario annuale che il sindacato organizza al rifugio partigiano della Malga Lunga.

Può il benessere di una società continuare ad essere calcolato solo in funzione della sua crescita economica o del valore complessivo dei beni e dei servizi prodotti? Basta il Pil o devono entrare in gioco indicatori di sviluppo diversi, che tengano conto di attività sociali come il volontariato, il lavoro domestico, i servizi di cura e che riescano a registrare, ad esempio, lo stato di salute dell'ambiente?

Molti economisti, compreso il Premio Nobel per le Scienze Economiche (1971) Simon Kutznets, si sono interrogati sui limiti del Prodotto Interno Lordo e sull'opportunità di utilizzare nuovi indicatori per “misurare” il benessere delle società. In questa direzione si sono mossi anche la Commissione Europea, l'Ocse e persino Nicolas Sarkozy, che nel 2008 ha promosso la costituzione della cosiddetta commissione Stiglitz.

Anche la Cgil e lo Spi-Cgil di Bergamo, con l'aiuto di due esperti, un economista ed un sociologo, hanno affrontato questo tema oggi, in occasione del seminario annuale che il sindacato organizza al rifugio partigiano della Malga Lunga. “Come si misura il benessere sociale? Nuovi indicatori di crescita per nuovi modelli di sviluppo” è il titolo attorno a cui si è sviluppata la discussione di questa mattina, coordinata da Marco Toscano dell'Ufficio Formazione della Cgil di Bergamo. Gianni Peracchi, segretario generale provinciale dello Spi-Cgil, ha aperto i lavori: “Come in passato, da questa sede, dalla Malga Lunga, anche oggi scegliamo di affrontare una discussione di ‘alto respiro', che vada oltre le contingenze quotidiane. Quello della ricerca di nuovi criteri di misurazione del progresso è un tema non nuovo, ma che ha preso rilevanza maggiore con la deflagrazione della crisi economica e delle sue conseguenze sociali. Anche perché è risultato chiaro che il Pil da solo non funziona, in Paesi come gli Stati Uniti o come il nostro, dal momento che non è in grado di mettere in risalto le disuguaglianze che la crisi ha creato. Inoltre, da segretario di un sindacato di pensionati, non posso fare a meno di sottolineare il ruolo che le persone in pensione che si dedicano al volontariato svolgono nella rete di sostegno alla nostra società: un valore aggiunto, una ricchezza del Paese, che il Pil non riuscirà mai a registrare”.

L'economista Stefano Palmieri, membro del Dipartimento Cgil per le politiche di coesione e per il Mezzogiorno e consigliere al Cese, Comitato economico e sociale europeo (organo consultivo dell'Unione europea, istituito nel 1957) si è, poi, chiesto: “Perché si discute di indicatori complementari al Pil? Innanzitutto, preferisco utilizzare l'aggettivo ‘complementari' perché sono convinto che il Prodotto Interno Lordo sia comunque utile e sia ancora in grado di fornire il polso della situazione di un Paese. Inoltre è utile sapere che quella dell'individuazione di indicatori diversi del benessere non è una vicenda nuova: si tratta di un processo di ricerca avviato sin dagli anni Sessanta. La nascita del Pil risale agli anni Trenta, in piena crisi economica degli Stati Uniti, e serviva ad individuare, anno dopo anno, l'andamento dell'economia. Negli anni Sessanta e Settanta si è aperta una nuova fase sociale, in cui al Pil si è cercato di associare nuovi indicatori. Negli anni Ottanta, poi, si è fatta sentire la spinta del movimento ambientalista e la consapevolezza che il mondo stesse perdendo risorse. Nell'ultimo decennio l'esigenza di selezionare nuovi indicatori è risultata ancora più forte, anche in seno all'Ocse, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, alla Commissione Europea e al G20, riunito nel 2009. Parole come ‘scelta, eguaglianza, sicurezza, equità, salute, felicità' entrano nel vocabolario utile alla ricerca di nuovi indicatori. La statistica, e qui cito un'economista americana, serve a monitorare fenomeni interessanti, è il codice genetico di una società: quando una società modifica questo codice genetico, quindi gli indicatori statistici come il Pil, dà anche un messaggio politico sull'indirizzo che vuole seguire”.

È toccato, poi, al sociologo Stefano Tomelleri, professore di Sociologia Generale dell'Università degli Studi di Bergamo, intervenire, partendo da un'altra domanda: “Perché indicatori sociali possono essere utili per leggere l'economia? Innanzitutto perché l'economia è cambiata. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e fino agli anni Ottanta, un certo tipo di capitalismo di fabbrica sanciva un patto tra lo Stato, la sua democrazia (fornitrice di servizi, di un sistema pensionistico e previdenziale) e l'economia basata sulla produzione. Dall'analisi dell'economia si poteva elaborare una riflessione su come funzionasse la società. Quel patto ha retto, ha portato l'Italia a diventare la settima economia più grande al mondo. Oggi, invece, il capitalismo ha cambiato forma: la sua immagine non è più quella della fabbrica, bensì quella del centro commerciale. Non è più un'economia nazionale, ma transnazionale, di un prodotto non si può davvero più dire che sia totalmente italiano. Il patto precedentemente stipulato tra economia e welfare viene meno. L'economia da sistema produttivo si trasforma in sistema finanziario, dove gran parte delle quotazioni sono spesso umorali. Cioè l'economia dipende dalla società, dalla cultura, dal modo di pensare delle persone, si parla di ‘fiducia' nei mercati, di ‘fidelizzazione' del cliente, non è più così importante la qualità del prodotto ma lo diventa cosa il consumatore ne pensa. Ecco perché non basta più un'analisi, una critica del sistema economico, ma serve anche un'analisi del sistema sociale, attraverso nuovi indicatori”.

Il segretario generale provinciale, Luigi Bresciani, in conclusione è intervenuto sostenendo che “certo, non è un argomento facile questo della misurazione del benessere sociale e della selezione di nuovi indicatori che vadano oltre l'uso del Pil. Eppure abbiamo deciso di insistere su questa via, su questo tema del rapporto tra benessere di una società ed economia, perché siamo convinti che ciascun sindacalista abbia bisogno, oltre che della pratica sindacale, anche di affrontare e conoscere temi ‘alti', di prospettiva, di allargare i propri orizzonti”.

All'approfondimento del tema del benessere sociale la Cgil e lo Spi di Bergamo, infatti, hanno deciso di dedicare una serie di incontri. Oltre a quello alla Malga Lunga, un secondo appuntamento è già fissato per il 13 dicembre (luogo ancora da definire), con l'intervento del filosofo Carlo Sini e con l'economista Luigino Bruni.

Da oltre 10 anni l'appuntamento alla Malga La Cgil e lo Spi-Cgil di Bergamo da 12 anni non mancano di testimoniare, riunendosi qui, il legame che questo luogo ha col sindacato. Ad oltre 1.200 metri, nel territorio del Comune di Sovere, la Malga è in ristrutturazione: i volontari dello Spi e dell'Anpi hanno dato una mano concreta ai lavori e per contribuire anche finanziariamente alla ristrutturazione del rifugio. L'Anpi di Bergamo ha organizzato anche una sottoscrizione.
La storia del rifugio partigiano della Malga Lunga è legata alla tragedia del 17 novembre del 1944, quando reparti fascisti della “Tagliamento” riuscirono a catturare parte della squadra di Giorgio Paglia, ufficiale della 53a Brigata Garibaldi. A causa dell'agguato fascista, avvenuto alla Malga Lunga, Paglia e compagni furono costretti alla resa. Due di loro vennero uccisi a pugnalate sul posto. Gli altri furono fucilati il 21 novembre 1944 al cimitero di Costa Volpino. Giorgio Paglia, che pure poteva aver salva la vita perché figlio di una medaglia d'oro al valor militare, rifiutò la grazia e morì coi compagni.

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