La mobilità nella Bergamasca
Oltre 20 mila posti persi in 3 anni

Sono oltre 20mila i posti di lavoro persi in tre anni nelle aziende della Bergamasca. Lo rende noto uno studio della Cgil di Bergamo. Il dato - secondo il sindacato - sta a dimostrare tutta la gravità della crisi che ha colpito, col resto del Paese, anche il nostro territorio.

Sono oltre 20mila i posti di lavoro persi in tre anni nelle aziende della Bergamasca. Lo rende noto uno studio della Cgil di Bergamo. Il dato - secondo il sindacato - sta a dimostrare tutta la gravità della crisi che ha colpito, col resto del Paese, anche il nostro territorio. Servono subito politiche di rilancio e di crescita oltre che ammortizzatori sociali per i lavoratori colpiti e per le loro famiglie.

I DATI
- Sono stati analizzati i dati contenuti nelle Liste di mobilità approvate mensilmente dalla Sottocommissione Regionale per le Politiche del Lavoro (SCRPL). A seconda delle dimensioni dell'azienda, i licenziati vengono inclusi nelle liste compilate ai sensi della L. 223/91 (aziende con più di 15 dipendenti; gli inclusi hanno diritto alla indennità di mobilità) oppure nelle liste compilate ai sensi della L. 236/93 (aziende fino a 15 dipendenti; hanno diritto solo anna indennità di disoccupazione e l'azienda che eventualmente li assume ha diritto a sgravi contributivi). Nei tre anni considerati i licenziamenti sono aumentati del 10,6%: 2009 6.333 (=100); 2010 6.677 (=105,4); 2011 7.004 (=110,6). (pagina 3) Sono le liste della L. 236 (piccole aziende) ad aver subito l'incremento più rilevante: 2009=100, 2011=121,5. (pagina 4)

DIMENSIONI AZIENDALI - Il 68,4% dei licenziati proviene dalle piccole aziende. Una percentuale molto maggiore alla effettiva consistenza della popolazione che vi lavora (secondo l'Istat, a Bergamo il 58% dei lavoratori è occupato in aziende con meno di 20 addetti). I sistema delle piccole imprese ha dimostrato quindi di saper reggere meno delle grandi aziende l'urto della crisi economica. (pagina 5)

SESSO - I Maschi, che sono il 61% degli occupati (Istat 2010) sono il 65% dei licenziati. Questo perché i settori più colpiti sono edilizia e industria metalmeccanica. (pagina 6)

ETÀ - Analizzando i dati per classi di età (pagina 7) si vede come siano colpiti in misura maggiore i lavoratori più anziani: i lavoratori over 50enni sono il 16% della popolazione lavorativa e il 23,4% dei licenziati. La fascia di età 45-50 (quindi i lavoratori che con la mobilità non hanno un passaggio diretto alla pensione) sono 1129, il 16% dei licenziati, un contingente con enormi problemi di ricollocazione nel mercato del lavoro.

STRANIERI (pagina 8) - Fatto 100 il 2009, gli stranieri licenziati sono 127,4 nel 2011 (il 24,3% del totale dei licenziati). Un aumento quindi del 27,4% rispetto ad un aumento dell'insieme dei licenziati nel triennio del 10,6%. Gli stranieri sono quindi maggiormente colpiti. Questo perché la loro occupazione è concentrata in edilizia e industria metalmeccanica.

ANZIANITÀ AZIENDALE (pagine 9-10) - Un'altra prova del fatto che le piccole aziende hanno subito maggiormente la crisi o, se si vuole, che nelle piccole aziende (senza l'art. 18) si licenzia molto di più, è l'anzianità aziendale al momento del licenziamento. Nelle grandi aziende solo il 3% dei licenziati lavora in quell'azienda da 0 a 2 anni, nelle piccole aziende è il 43,7%; con un'anzianità aziendale da 0 a 5 anni è il 24,4% dei licenziati nelle grandi aziende e il 72,4% nelle piccole. Segno incontestabile che la maggior facilità nel licenziare non consente stabilità, crescita professionale, fedeltà aziendale e, in definitiva, competitività.

SETTORI PRODUTTIVI (pagine 11-12) - Il 31% dei licenziati viene dall'edilizia (settore in cui lavora l'11% degli occupati bergamaschi) e il 24,8% dal settore metalmeccanico. Una crisi durissima per i due settori trainanti dell'economia bergamasca. Sull'edilizia hanno inciso il calo della committenza pubblica, il dimezzamento di quella privata e l'assenza di una politica per risparmio energetico, ristrutturazione, sicurezza degli edifici.

DISTRIBUZIONE TERRITORIALE. CENTRI PER L'IMPIEGO (pagine 13-14) - Più colpiti i territori a maggior vocazione industriale (Treviglio, Ponte S.P.) e edilizia (Romano). Preoccupante il dato della Val Brembana (+22,9%) dove la chiusura di alcune aziende di medie dimensioni si innesta su un territorio già depauperato di posti di lavoro.

DISTRIBUZIONE TERRITORIALE. COMUNI DI RESIDENZA DEI LICENZIATI (pagine 15-18) - Segue l'elenco dei Comuni con il totale dei licenziati raggruppati per comune di residenza.

«Oltre 20mila posti di lavoro persi in tre anni - commenta Lugi Bresciani, segretario generale della Cgil di Bergamo - stanno a dimostrare tutta la gravità della crisi che ha colpito, col resto del Paese, anche il nostro territorio. Servono subito politiche di rilancio e di crescita oltre che ammortizzatori sociali per i lavoratori colpiti e per le loro famiglie. Dall'analisi dei dati emerge che ad essere maggiormente colpito è il sistema delle piccole e piccolissime aziende, che non è stato in grado di reggere l'urto della crisi con la stessa forza delle aziende di medio grandi dimensioni nelle quali la tutela del posto di lavoro si è coniugata con una maggior competitività e quindi con la capacità di resistere meglio alle difficoltà economiche. Il settore più colpito è l'edilizia, che paga il calo degli investimenti pubblici e l'assenza di politiche del territorio (risparmio energetico, ristrutturazione, modernizzazione delle infrastrutture). Il grande numero di lavoratori immigrati colpiti dal licenziamento, magari dopo anni di presenza e dopo aver avviato progetti di integrazione stabile, richiede certamente una revisione dell'attuale normativa sull'immigrazione. Il grande numero di licenziati ultra quarantacinquenni richiede, a sua volta, lo sviluppo di politiche attive che necessitano di un forte rilancio della formazione professionale mirata a quei settori già indicati dall'Unione Europea come settori leader per il futuro e assunti dal Progetto Val Seriana come obiettivo strategico per il nostro territorio».

Scarica il pdf con i dati dell'analisi della Cgil

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