Branzi, dalla Fiera di San Matteo:
meno mangimi, più erba e fieno

Meno mangimi industriali, più erba e fieno. Il ritorno all'alimentazione naturale, che per secoli ha caratterizzato la zootecnia, salverà l'agricoltura di montagna: ne deriveranno, rispetto alla pianura, latte e formaggi di qualità eccelsa.

Meno mangimi industriali, più erba e fieno. Il ritorno all'alimentazione naturale, che per secoli ha caratterizzato la zootecnia, salverà l'agricoltura di montagna: ne deriveranno, rispetto alla pianura, latte e formaggi di qualità eccelsa, più sani e di assoluta tipicità, in un sistema più ecosostenibile. E da ciò ne guadagnerà il turismo orobico, sempre più alla ricerca di sapori di nicchia, originali, stanco di quelli appiattiti della produzione industriale in crisi che, per troppo tempo, la montagna ha cercato inutilmente di inseguire e, purtroppo, di imitare.

BOOM ALLA FIERA, 5.000 PRESENZE
Dalla Fiera di San Matteo di Branzi - conclusasi dopo tre giorni, con almeno 5.000 presenze - produttori di formaggi e studiosi del settore lanciano insieme una rivoluzione, semplice quanto radicale: per risollevare economia e turismo della Valle Brembana occorre guardare al sistema agricolo del passato, totalmente ecologico, tipico e autonomo dal punto di vista alimentare ed energetico. E, alla fine, assolutamente genuino.

Ne hanno parlato nel convegno clou della Fiera di San Matteo - sul valore della falce fienaria - Francesco Maroni della Latteria sociale di Branzi, Michele Corti, docente di zootecnia montana all'Università di Milano, Fausto Gusmeroli, docente universitario della Fondazione Fojanini di studi superiori di Sondrio, il giornalista economico, caporedattore de «L'Avvenire», Massimo Calvi, e Vincenzo Salvini, memoria storica della Valle Brembana.

LA CRISI DEL MODELLO INTENSIVO DI PIANURA
«Per andare avanti - ha sottolineato Maroni - dobbiamo guardare indietro: la falce fienaria è il simbolo concreto di questo ritorno alla naturalità, fondamentale se vogliamo salvare l'agricoltura di montagna». Illuminante l'intervento di Gusmeroli sull'evoluzione dei sistemi agricoli, per secoli basati su razze autoctone, sull'autosufficienza alimentare (no uso di mangimi) e sul lavoro biologico dell'uomo: modelli chiusi, che si reggevano da sé e alla fine davano prodotti unici e di qualità.

Con le rivoluzioni industriale, poi chimica e genetica, si è passati agli allevamenti intensivi: sono drasticamente diminuiti le vacche allevate e i pascoli utilizzati, ma è aumentato il latte prodotto. «Un modello che ha perso la sua tipicità perché senza razze autoctone e alimentazione locale - ha spiegato Gusmeroli -, ma un modello che oggi è entrato in crisi perché non più sostenibile da un punto di vista economico, anche per l'aumento dei costi energetici». Convinti che un ritorno puro al passato non sia possibile e non sia nemmeno auspicabile, la strada da seguire resta però quella di un'agricoltura meno industriale e più tradizionale.

TIPICITA' UNICA, COSI' IL BITTO STORICO VINCE NEL MONDO
«Bisogna il più possibile conservare la tipicità - ha detto ancora Gusmeroli - tornando ad allevamenti più estensivi, a razze autoctone e ad alimentazioni naturali con foraggio locale. Quindi bisogna favorire la filiera corta dei formaggi, evitando la grande distribuzione e, al contrario, l'identità tra luogo di produzione e di vendita. E poi puntare sulla collaborazione tra produttori e operatori turistici, per fare in modo che la montagna possa tornare a vivere soprattutto di agricoltura e non solo di luna park».

Un esempio, che in questi ultimi anni, ha consentito il successo del Bitto storico (uno dei sei , insieme a Branzi Ftb, Formai de mut, Agrì, Strachitunt, Stracchino all'antica), prodotto sulle Orobie valtellinesi, bergamasche e lecchesi, secondo metodi ancora artigianali (senza mangimi e fermenti e con razze bovine e caprine autoctone): oggi è universalmente riconosciuto come il formaggio più pregiato e pagato del mondo (fino a 245 euro al chilo per una forma prodotta a Mezzoldo). Che consente agli allevatori di continuare a lavorare.

L'UNIVERSITA': AGRICOLTURA TRADIZIONALE, VOLANO PER IL TURISMO
E il ritorno all'agricoltura tradizionale sarà forse ciò che salverà anche il turismo. «Nell'ultima stagione - ha detto nel convegno di sabato mattina Andrea Macchiavelli, docente di Economia del turismo all'Università di Bergamo - le Orobie hanno perso il 38% di passaggi sugli impianti sciistici. Ciò nonostante, le presenze turistiche nelle valli sono aumentate del 10%, grazie soprattutto agli stranieri: questo significa che qualcuno ancora va in montagna. Bisogna capire per cosa ci va e la riscoperta della ruralità tradizionale potrà rappresentare uno dei punti di maggiore attrazione».

Durante la fiera è stato presentato così il progetto per la realizzazione di pacchetti turistici che contempleranno la visita ai luoghi dei formaggi. Il ritorno, in parte, al passato per garantire il futuro economico e turistico della valle: questo il messaggio finale della Fiera 2012 che, per la cronaca, ha visto vincitore del titolo di casaro d'oro (per il miglior Formai de mut) Alfio Cattaneo di Branzi, regina della mostra zootecnica un capo di Giacomo Paganoni di Isola di Fondra e nella gara di mungitura il giovane Nicolò Quarteroni di Lenna.

© RIPRODUZIONE RISERVATA