E a Porta San Lorenzo
si produce il vino di Garibaldi

«Il vino di Bergamo Alta» o potremmo anche definirlo «il vino di Garibaldi», perché i vigneti arrivano proprio a pochi metri da Porta San Lorenzo, altrimenti chiamata Porta Garibaldi, dopo che l'eroe dei due mondi vi passò con le sue truppe nel 1859.

«Il vino di Bergamo Alta» o potremmo anche definirlo «il vino di Garibaldi», perché i vigneti arrivano proprio a pochi metri da Porta San Lorenzo, altrimenti chiamata Porta Garibaldi, dopo che l'eroe dei due mondi vi passò con le sue truppe nel 1859 in un episodio della seconda guerra di indipendenza.




Le vigne (quasi un ettaro) e l'intera verdeggiante valletta che scende da Porta San Lorenzo, compresa la vecchia cascina di pietre, è dal 1871 di proprietà della famiglia Cerea, arrivata oggi alla quinta generazione. In precedenza la cascina (più piccola di quella attuale, poi ampliata) era appartenuta ai conti Roncalli che avevano palazzi in Città Alta. L'indirizzo è via Maironi da Ponte 2 ma per arrivare alla cascina bisogna percorrere un centinaio di metri di strada privata sterrata.

«Nostro padre – affermano i quattro fratelli Cerea, Giuseppe, Arcangelo, Giancarlo e Lucia – ha fatto ancora il contadino a tempo pieno: c'era la vigna, ma anche tanti gelsi per i bachi da seta, le mucche, il maiale, il grano e il granoturco. I tempi sono cambiati. Noi non potevamo vivere solo di questo e abbiamo fatto altri lavori ma la nostra azienda non l'abbiamo abbandonata. Oggi produciamo solo vino rosso e olio d'oliva, oltre a un poco di frutta».

Ieri nell'Azienda Cerea si è svolto il rito della vendemmia. Avendo reimpiantato nel 1998 solo filari di uve rosse, Merlot e Cabernet Sauvignon, la vendemmia è iniziata ieri per il Merlot, mentre per il Cabernet la maturazione completa è prevista tra una quindicina di giorni. Fa un certo effetto vedere all'opera i vendemmiatori con sullo sfondo la Porta Garibaldi e in alto svettare le Torre del Gombito e una parte del profilo di Città Alta.

Una azienda agricola rimasta attiva pur nel vortice dei cambiamenti socioeconomici e per fortuna protetta dal Consorzio Parco dei Colli, anche se dei tanti gelsi che c'erano non è rimasta nemmeno l'ombra.

«Dal nostro ettaro scarso di vigneto – afferma Giuseppe Cerea, 65 anni – ricaviamo circa 25 quintali di uva, pari a 3 mila bottiglie. Sì, facciamo tutto noi qui in azienda. Etichettiamo noi a mano una parte delle bottiglie. Parte della produzione viene consumata in famiglia o da amici, il resto lo vendiamo a conoscenti che l'apprezzano e ce lo richiedono perché lo considerano un buon vino. Continuiamo a farlo anche se ci costa parecchio sudore ma abbiamo passione e ci fa piacere che i nostri prodotti siano apprezzati». Tre le tipologie prodotte: Merlot in purezza, Cabernet Sauvignon in purezza e il Cà de Sass (praticamente un taglio bordolese dei due vini, la formula del Valcalepio Rosso).

La vecchia casa, costruita in gran parte con sassi e pietre (perciò uno dei vini è stato chiamato in etichetta «Cà de Sass»), avrebbe bisogno di una radicale ristrutturazione. Vi abita solo uno dei quattro fratelli. Gli altri abitano altrove, ma quando c'è bisogno sono tutti pronti a lavorare per l'azienda di famiglia.

Certo che, una volta ristrutturata la cascina, sarebbe davvero un eden abitare in mezzo a tanto verde rimasto per fortuna intatto. Ci penserà la sesta generazione dei Cerea?

Roberto Vitali

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