I restauratori scrivono a Napolitano
Raccolta firme anche a Bergamo

Non ci stanno più a subire le contraddizioni di un sistema che picchia duro sempre sull’anello debole della loro categoria: sono le migliaia lavoratori del mondo del restauro per i quali “la mancanza di un indirizzo formativo coerente ed organico ha finora reso impossibile una vita professionale sana, gli stessi ai cui oggi viene impedito l’accesso alla Prova di Idoneità abilitante, in via definitiva, al titolo di restauratore di beni culturali”. È quanto si legge nel testo della petizione al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lanciata unitariamente dai sindacati di categoria FILLEA-CGIL, FILCA-CISL e FENEAL-UIL a livello nazionale e che punta il dito contro il Decreto del 30 marzo scorso (n.53/2009), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 maggio.

Il Decreto in questione regolamenta lo svolgimento della “prova di idoneità” per ottenere la qualifica di restauratore di beni culturali e quella di “collaboratore” di beni culturali.

La raccolta firme a sostegno della petizione è partita anche a Bergamo: è possibile firmare presso la sede FILLEA-CGIL di via Garibaldi 3 oppure on line sul sito della FILLEA nazionale (www.filleacgil.it) e presto anche su quello della CGIL di Bergamo (www.cgil.bergamo.it). A Bergamo e in provincia sono una cinquantina i restauratori con contratti di lavoro dipendente (rintracciabili perché iscritti alla Cassa edile), a cui vanno aggiunti molti altri che sono liberi professionisti, quelli assunti con contratti a progetto, o contratti diversi da quello dell’edilizia (legno, chimica…). Il settore del restauro è quasi esclusivamente al femminile (si tenga conto, ad esempio, che alla riunione organizzata dalla FILLEA-CGIL regionale a Milano su 160 restauratori presenti, 140 erano donne).

“Se la legge resta immutata, sarà molto più complicato diventare restauratori” spiega Luciana Fratus della segreteria provinciale FILLEA-CGIL. “Il testo del Decreto tende ad escludere dalla prova d’esame tutti quei lavoratori che si sono formati, lavorando per anni, direttamente nei cantieri. Già di per sé si tratta di lavoratori che, malgrado una grande specializzazione e con tanti anni di studio alle spalle, godono di meno tutele e spesso di minor salario rispetto agli altri lavoratori dell’edilizia. C’è gente che si trova da dieci anni nel settore ma è ancora in condizioni di precarietà. Quella del riconoscimento dei titoli professionali è una questione che si trascina da anni” continua la Fratus, “importantissima per i lavoratori, che vorrebbero veder riconosciute le proprie competenze attraverso un inquadramento contrattuale ed un salario adeguato. Per questo abbiamo deciso di assistere coloro che passando, in modo alternato, da dipendenti a parasubordinati a partite iva individuali, alla fine restano sempre senza riconoscimenti formali dell’opera eseguita Il Decreto in questione limita l’accesso all’esame di idoneità e continua a lasciare indefiniti e poco esigibili i sistemi di attestazione anche per coloro che non dovrebbero necessitare della prova per definire legittimamente la propria posizione professionale. Per questo motivo a livello nazionale abbiamo deciso di promuovere un ricorso dei lavoratori del restauro e sostenere legalmente l’impugnazione del Decreto davanti al TAR del Lazio (il ricorso è stato presentato il 23 luglio scorso)”.

“A tutti questi lavoratori che hanno svolto attività di conservazione su beni mobili ed immobili aventi valore di civiltà” si legge nella petizione al presidente Napolitano (in allegato, per intero) “è stata da sempre negata la dovuta valorizzazione per l’importante ruolo svolto a tutela del nostro patrimonio culturale, sia dalle istituzioni che dalle imprese del settore. Eppure hanno costituito e costituiscono la colonna portante nei lavori di restauro, pur avendo acquisito la propria professionalità direttamente in cantiere, in bottega o attraverso percorsi formativi diversi tra loro per durata e contenuti”. Nel testo della petizione si denuncia anche un “mercato degli appalti la maggior parte dei quali è sotto soglia (150.000 euro), quindi senza obbligo di certificazioni SOA, lasciando molti imprenditori nella incontrollata libertà di gestire i cantieri nelle condizioni sopra denunciate e addirittura permette loro di blindare il settore con arbitrari accordi contrattuali basati sulla precarietà e la mancanza di tutele”.

“Di fronte ad uno scenario come questo, che veramente rappresenta un rischio tragico per l’incolumità del nostro patrimonio artistico e culturale” conclude il testo unitario, “ricondurre il problema alla formulazione dell’elenco dei restauratori abilitati è semplicemente un atto di ipocrisia, è parlare del ramo davanti alla foresta che brucia. Chiediamo dunque di non scaricare le responsabilità che sono generali solo sui lavoratori, e che dunque si apra una nuova fase per il settore dando l’opportunità a quanti fino ad oggi vi hanno operato di accedere all’esame di qualificazione demandando alla autorevolezza della prova l’accertamento delle competenze. Per far questo è necessario rivedere i criteri di certificazione richiesti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per l’accesso alla prova di idoneità, dando la possibilità a quanti fino ad oggi hanno operato nel settore, di far valutare le proprie capacità professionali da una commissione (che operi con neutralità)”.

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