Anche Bergamo alza la voce:
giù le mani dai nostri prodotti

Quando i numeri ci dicono che un terzo (il 33% circa) della produzione agroalimentare, venduta in Italia o esportata all’estero con marchio Made in Italy, è fatta con ingredienti stranieri, vuole dire che un problema c’è.

Quando i numeri ci dicono che un terzo (il 33% circa) della produzione agroalimentare, venduta in Italia o esportata all’estero con marchio Made in Italy, è fatta con ingredienti stranieri, vuole dire che un problema c’è.

E per chi è abituato a fare e ad agire, come i produttori agricoli, gli allevatori e i coltivatori, non si può rimanere a guardare, mentre la qualità italiana, tanto sudata e in cui si investono forze e denari, è minata da questo fenomeno. Così mercoledì 4 dicembre la Coldiretti ha presidiato il valico del Brennero ed è scesa in strada con un corteo a Reggio Emilia, presente anche una nutrita componente bergamasca.

«Queste iniziative servono a esprimere la nostra rabbia di fronte a questo fenomeno - ha detto Alberto Brivio, presidente Coldiretti Bergamo, che ieri con il direttore Gianfranco Drigo era a Reggio Emilia, oggi entrambi al Brennero -, che incide anche in termini di occupazione e di reddito nelle nostre imprese agricole, scavalcate dalla produzione a basso costo estera».

Un altro aspetto fondamentale è che «si fa danno alle produzioni italiane - ha proseguito -, ma soprattutto all’immagine italiana all’estero, con prodotti a marchio made in Italy che in realtà non c’entrano niente. Così il danno è doppio: per la produzione e per la credibilità nei confronti dei potenziali clienti esteri». «Anche a Bergamo gli allevamenti di suini hanno perso addetti - ha commentato Brivio -, perché non sostenevano più i costi e la concorrenza con i prodotti esteri, di prezzo più basso. Ma un po’ tutti i settori sono minacciati. E la nostra provincia ha diversi tipologie, come olio, vino, carne, latte, uova».

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