Brusaporto, non solo carne
Ambrosini ora punta sul pane

«Stiamo trattando per l’acquisizione di due forni sul territorio nazionale per fare anche il pane a lunga conservazione, che oggi commercializziamo per l’Italia e per l’estero». Paolo Ambrosini, ad dell’omonimo gruppo di Brusaporto, non dice di più, se non che si tratta di due società.

«Stiamo trattando per l’acquisizione di due forni sul territorio nazionale per fare anche il pane a lunga conservazione, che oggi commercializziamo per l’Italia e per l’estero». Paolo Ambrosini, amministratore delegato dell’omonimo gruppo di Brusaporto, non può dire di più, se non che si tratta di due società, una in Toscana e una in Veneto.

Ma tanto basta per avere un’idea di dove è arrivato e dove intende andare questo gruppo dell’alimentare bergamasco che in poco tempo ha raggiunto numeri da podio e che, dopo una ristrutturazione sul ramo distribuzione, non intende fermarsi. Con una particolarità: a differenza di quanto accade di solito, qui a fare l’impresa con un’impostazione di tipo industriale è stata la seconda generazione.

Ma andiamo con ordine. Due numeri fanno capire com’è cresciuta questa holding dell’alimentare, nata dalla macelleria avviata negli anni Sessanta al Cassinone di Seriate da Carlo e Lucia Ambrosini. Nei primi anni Novanta, spiega il figlio Paolo, 44 anni, da una decina amministratore delegato del gruppo, che guida insieme ai fratelli Diego e Serena, i numeri chiave erano 5-6 milioni di fatturato e una trentina di persone. Oggi siamo a 85 milioni di fatturato, previsione di fine anno con un incremento medio del 15% sulle attività industriali, e 300 persone.

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