I Pesenti, 151 anni di Bergamo global
Hanno scritto la storia del ’900 italiano

Dici Italcementi e subito intendi una delle più prestigiose bandiere del lavoro e dell’imprenditoria di Bergamo: 151 anni da giocatore global, consumati a modernizzare il Paese, spesi su nuove frontiere geografiche e di qualità del prodotto. Orizzonte mondo.

L’eccellenza tecnologica – ha scritto la storica dell’economia Vera Zamagni nell’ultimo volume della «Storia economica e sociale di Bergamo» – è da sempre il fiore all’occhiello dell’azienda.

Una vicenda iniziata nel 1864 in una villa di Scanzo, macinando i primi prodotti in un mulino per il grano per arrivare ai recenti materiali fotocatalitici e ai cementi biodinamici. Dal ponte sull’Adda a Rivolta all’Autostrada del Sole, dal Canale di Suez al Grattacielo Pirelli a Milano, dal padiglione italiano a Expo 2010 di Shanghai a quello di Expo Milano.

Un nuovo concetto del cemento, da commodity a materiale capace di garantire soluzioni inedite. Bergamo in questi anni è stata la cabina di regia e la sala comando di un gruppo presente in 22 Paesi e in 4 continenti e in questo modo la famiglia Pesenti ha scritto la storia

dell’industria del ‘900, il secolo del lavoro, e del primo scorcio del Duemila riconoscendosi nei ritmi e nelle regole della globalizzazione, assecondando una condotta che è la cifra di questa dinastia.

L’ex ministro Filippo Maria Pandolfi, da sempre vicino ai Pesenti, riassume così il senso della missione di una famiglia che con Carlo, figlio di Giampiero, è giunta alla quinta generazione: «È una storia di bergamaschi di successo che hanno sempre anteposto gli obiettivi del loro lavoro a localismi minori: hanno saputo interpretare la bergamaschità in termini positivi, non come limite ma come capacità espansiva, di essere cioè nel mondo».

Già a inizio ‘900 l’Italcementi è fra i protagonisti del primo decollo industriale della Bergamasca e dell’Italia. Ne parla anche Bortolo Belotti, nella sua celebre «Storia di Bergamo e dei bergamaschi», quando cita le «Memorie di famiglia» di Cesare Pesenti, un «caratteristico documento degli sforzi e dell’attività fortunata di una famiglia per conseguire potenza economica».

E curiosamente, strada facendo, incontreremo un paio di volte la Germania, in una terra peraltro dove la realtà industriale è vicina al modello tedesco: Cesare, uno dei 6 fratelli

proprietari di una piccola cartiera ad Alzano e poi condottieri dell’Italcementi, studia e si laurea in ingegneria meccanica in Germania, mentre Giampiero appena assunta la guida della società, nel 1984, vende la Ras, seconda agenzia assicurativa italiana, ai tedeschi per risanare i conti di Italmobiliare. La prima affermazione avviene già negli anni ’20 con Antonio, che fonda la Federazione nazionale produttori cemento: nel ’45 passa la mano al cugino Carlo e lascia in eredità una leadership incontrastata in Italia fatta da 34 stabilimenti con 3,4 milioni di tonnellate annue.

L’ingegner Carlo, uomo dalla proverbiale riservatezza, liceo al Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri e una gran passione per gli aerei, è l’uomo che dà una dimensione nazionale alla società, diversificando il core business: Italmobiliare, infatti, che creerà qualche serio problema, ha in pancia banche, società, assicurazioni e giornali (come la «Notte» e il «Tempo» di Roma affidato all’influente Gianni Letta e più tardi lo sbarco in Rcs). E c’è anche il salvataggio della Lancia.

Carlo Pesenti, storico avversario di Michele Sindona, nei complicati anni ’70 e primi ’80, diventa uno dei protagonisti del «salotto buono» della finanza per poi morire nell’84, a 77 anni, in un ospedale di Montreal dove era sottoposto a cure. Il figlio Giampiero imprime al gruppo, caratterizzato da una spiccata identità e senso di appartenenza, una decisa virata verso il core business del cemento, lanciando contemporaneamente una strategia di internazionalizzazione in una stagione segnata dalla fine del ciclo della grande impresa, dall’esaurirsi delle aziende pubbliche e dalla riduzione ai margini del sistema Italia in Europa e nel mondo.

Il colpo grosso, l’ingresso nel mondo global, è del ’92 con l’acquisizione di Ciments Français: l’operazione sull’asse Bergamo-Milano (Mediobanca di Cuccia)-Parigi cambia in modo radicale il profilo del gruppo. Uno shopping coraggioso, perché la francese era la terza impresa cementiera del mondo. Le acquisizioni all’estero continuano anche in seguito con l’ingresso in Medio Oriente (Egitto, Marocco, Kuwait) e in Asia (India, Thailandia e Cina). Il terzo passaggio è con il figlio Carlo, attuale consigliere delegato: tiene la barra dritta nei tormentati anni di crisi, consolida e rilancia l’esposizione internazionale e, come caratteristica propria, rafforza i legami con il mondo accademico e l’impegno nella ricerca e nella sostenibilità ambientale di nuovi materiali. Gli stessi tedeschi del gruppo HeidelbergCement, nello spiegare il controllo di Italcementi, fanno esplicito riferimento alla qualità del prodotto e alla capacità d’innovazione e marketing della multinazionale bergamasca. Nuove frontiere come i.lab, il centro di ricerca installato al Kilometro Rosso e progettato dall’architetto americano Richard Meier. Una dotazione scientifica che, con la Fondazione Italcementi, laboratorio di strategie internazionali, e con «Bergamo 2.035», un progetto smart city con l’Università di Bergamo e di Harvard, dialoga da anni con la città. Una relazione speciale destinata a continuare.

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