Il bottonificio Corozite chiede la mobilità

Dichiarati 31 esuberi su 90 dipendenti. I lavoratori: ritirate la procedura e trattiamo su altre soluzioni Proposti i contratti di solidarietà e la cassa speciale. Ma l’azienda vuole un intervento definitivo

Il bottonificio Corozite di S. Paolo d’Argon ha aperto la procedura di mobilità per 31 dipendenti su 90 per calo strutturale di ordini. Si tratta di 26 operai e 5 impiegati. La comunicazione ufficiale dell’azienda ai sindacati è di lunedì ed è stata recepita un po’ come un fulmine a ciel sereno: c’era sì aria di ristrutturazione, ma a lunedì non erano ancora stati dichiarati esuberi. Ieri si sono svolte le assemblee in fabbrica. I lavoratori hanno affidato ai rappresentanti sindacali il mandato di respingere la mobilità, chiedendo che venga ritirata, e di aprire il confronto su soluzioni alternative, come i contratti di solidarietà o la cassa integrazione straordinaria. Il prossimo incontro con l’azienda è fissato per lunedì. Se non ci saranno aperture sulle richieste dei lavoratori, non si escludono iniziative di protesta. Quella alla Corozite è la seconda procedura di cui si ha notizia nella «Button Valley», dopo la mobilità avviata per altre trenta persone alla New Style di Grumello, che fermerà la produzione nei prossimi mesi.

Il quadro della Corozite, illustrato dal direttore generale Riccardo Zavaritt, non è quello di un’azienda in crisi. Il fatturato è stabile, con un leggero incremento negli ultimi tre anni: 4 milioni nel 2003 (erano 3,9 milioni l’anno precedente e 3,8 nel 2001). «Non c’è indebitamento e gli investimenti in software e macchinari continuano ad essere fatti», aggiunge Zavaritt. Il problema è che il mercato si è ristretto e la quota di ordini che in passato arrivava dalla fascia medio-bassa è considerata persa in modo irrimediabile. La società intende consolidarsi e mantenersi nella fascia alta, puntando su qualità ed ecologia e su idee innovative, come il progetto anticontraffazione in fase avanzata di studio. Questo però significa rivedere i numeri verso il basso. Nel 1998 dalla Corozite erano usciti 260 milioni di bottoni, una quantità destinata a dimezzarsi: i pezzi prodotti l’anno scorso in polvere di corno e corno vero sono stati 170 milioni e le stime per il 2004 e gli anni a venire parlano di un assestamento sui 130 milioni di bottoni. Da qui la necessità di ristrutturare l’organizzazione interna riducendo il personale.

I sindacati respingono però il ricorso immediato alla mobilità come unica soluzione percorribile, posizione già espressa nell’incontro di lunedì presso l’Unione industriali e confermato dai lavoratori nelle assemblee di ieri. Rosaria Marinelli della Femca-Cisl e Aldo Valle della Filtea-Cgil sono stati incaricati di chiedere il ritiro della mobilità e di trattare su contratti di solidarietà e cassa speciale, soluzioni che consentirebbero ai lavoratori di avere un margine di prospettiva più ampio rispetto all’uscita immediata dall’azienda. Fra le due ipotesi, la Femca privilegia i contratti di solidarietà, che permetterebbero ai lavoratori di rimanere all’interno del processo produttivo. A monte di tutto, comunque, come spiega Valle della Filtea, il sindacato nutre delle riserve anche sui numeri, che sembrano eccessivi.

Su questo punto l’azienda dichiara di tenere la porta aperta a una riduzione dei numeri tramite l’accompagnamento dei dipendenti prossimi alla pensione e la valutazione di eventuali richieste di part-time compatibili con le esigenze dei reparti. Per il resto, Zavaritt dice: «Noi abbiamo un problema strutturale stabile da risolvere. Se fosse temporaneo, saremmo aperti sui contratti di solidarietà, mentre non è possibile parlare di cassa perché non sussistono i requisiti di crisi. La mobilità sembra l’unico strumento praticabile per rispondere alle mutate esigenze aziendali. Restiamo aperti a valutare forme nuove introdotte di recente come il job sharing o altri sistemi alternativi di organizzazione del lavoro compatibili con le necessità aziendali».

Ma il sindacato non ci sta. Il segretario provinciale della Femca-Cisl, Rita Brembilla, ha dichiarato: «Non è accettabile affrontare le difficoltà partendo dalla soluzione peggiore: in questo modo si chiudono tutti gli spazi di manovra a difesa dei lavoratori. In un contesto di difficoltà che il territorio sta vivendo, affrontiamo certo i problemi che emergono, ma cerchiamo anche di dare respiro alle persone. Non è possibile che l’unica strada percorribile sia la riduzione di organico. Credo che le imprese sul territorio abbiano il compito non solo di riassestare la loro struttura, ma anche di rispondere ai bisogni delle persone. Fra l’altro, ricordo che a Bergamo il tasso di disoccupazione femminile è il più alto in Lombardia. Qui stiamo parlando di un’azienda dove il 70% del personale è costituito da donne. E stiamo parlando di un’azienda dove non si è mai fatto ricorso a strumenti di riduzione del personale: non è possibile che al primo problema si parli subito di mobilità». La richiesta che la procedura di mobilità venga ritirata e si apra il confronto su contratti di solidarietà e cassa speciale sarà portata al tavolo nell’incontro di lunedì.

(17/34/2004)

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