Autostrade allo Stato
L’intesa è difficile

Sarà interessante vedere come i partiti di governo troveranno tra loro un compromesso di fronte al tema delle concessioni pubbliche drammaticamente scaturito dalle macerie del ponte Morandi di Genova. Sarà interessante in primo luogo perché il tema non era stato affrontato all’epoca del cosiddetto «Contratto di governo» in quanto motivo di divergenza, ma soprattutto perché, da come la vicenda si evolverà, molte conseguenze saranno tratte in sede internazionale nell’autunno incombente (e minaccioso). Diciamo compromesso perché sono emerse nel governo due linee politiche molto nette a partire dalla decisione di avviare la procedura che dovrebbe (il condizionale va sottolineato varie volte) portare alla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia e al Gruppo Atlantia controllato dalla famiglia Benetton.

Da una parte infatti c’è la linea dei 5 Stelle che non hanno dubbi su quale dovrà essere l’esito della procedura, vogliono arrivare ad una esemplare «punizione» per la concessionaria (e dei Benetton in particolare) per poi sfociare in una ri-nazionalizzazione delle autostrade. E questo a prescindere da tutti i corollari possibili: l’effettiva praticabilità e i costi della revoca, l’intreccio perverso di un contenzioso lungo e complicato con le urgenze ricostruttive di Genova e con l’inchiesta della magistratura, il giudizio dei mercati sull’atteggiamento del governo italiano nei confronti di una società quotata, e infine la validità di un ritorno al modello delle vecchie Partecipazioni statali, demolito perché considerato obsoleto, fonte di corruzione, inefficiente. Di tutto questo c’è scarsa traccia nelle dichiarazioni grilline: l’importante è che il privato («prenditore») colpevole paghi e lo Stato torni a gestire i suoi beni. Non a caso ieri il premier Conte ha fatto circolare l’ipotesi di un subentro maggioritario di Cassa depositi e prestiti, la cassaforte del risparmio postale, nell’azionariato di Autostrade. Significativo che l’ipotesi sia stata subito stroncata dal ministero del Tesoro e dalla stessa Cdp.

Sull’altro fronte c’è la Lega che sin da subito ha mostrato un atteggiamento più pragmatico anche se non meno duro nei confronti di Autostrade. Salvini e i suoi da una parte sembrano essersi acconciati all’avvio della procedura di revoca della concessione perché convinti che non se ne farà nulla, dall’altra sono apertamente ostili alla strada della nazionalizzazione. Il sottosegretario Giorgetti, i governatori Zaia e Fontana, lo stesso Toti presidente della Liguria e forzista filo-Lega, hanno detto un chiaro «no». In Veneto hanno già subìto la contestazione degli industriali per il decreto Dignità, hanno visto messa a rischio la Pedemontana per via dei veti del M5S, non hanno alcuna intenzione di lanciare l’ennesimo segnale punitivo verso i settori produttivi. Semmai la Lega è per cambiare gli equilibri delle concessioni troppo spostate a favore dei privati piuttosto che dello Stato e di farlo forti proprio delle responsabilità oggettive di Autostrade nella strage di Genova. Ma un conto è riequilibrare una situazione troppo favorevole ai concessionari, dall’altra è arrivare alla revoca – con conseguenze sull’erario pesantissime – o addirittura al ritorno alle autostrade di Stato del secolo scorso. Queste due linee si dovranno confrontare in fretta perché i problemi da affrontare sono tanti, le questioni molto più complicate di un tweet, e perché la strada sarà lunga: le conclusioni del cda di Atlantia di ieri dicono che la società è pronta a combattere e non sono pochi a dire che ha parecchie frecce al proprio arco. Ultima notazione: da come l’Italia gestirà questa vicenda gli investitori giudicheranno l’atteggiamento del governo «populista», e aspetteranno la legge di Bilancio di Tria per capire bene come si muove Roma. Nel frattempo i segnali che mandano sono tutt’altro che incoraggianti.

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